giovedì 26 aprile 2012

Twitter ovvero i monologhi di Roberto Cavalli

Che ormai Twitter sia diventato il social più utilizzato è ormai assodato. Facebook è il passato, Google+ un possibile futuro, ma Twitter... Twitter è il presente. Se prima era possibile affermare con orgoglio:"No, non possiedo un profilo fb e non ho intenzione di attivermene uno",adesso risulta quasi un' onta socialmente condivisa ammettere la propria mancata adesione al popolo dei cinguettatori.
Tra politici, attori, prezzemolini vari, la mia attenzione è inevitabilmente caduta sugli stilisti, che ci hanno messo poco a scoprire che twittare è molto più facile e divertente che diffondere un comunicato stampa. Così, sempre più spesso, le news più fresche, gli snapshoot, le anteprime passano prima per Twitter: ma per quello serve un social-web-media-manager, ossia un 23enne fresco laureato che la casa di moda piazza davanti ad un pc a veicolare le notizie sui profili social aziendali attivati. Invece, le vere chicche le riservano i profili privati, quelli che vedono impegnati gli stilisti in prima persona nel mixare anteprime della nuova collezione, a foto di cuccioli tenerissimi, fino a tweet dell'ultima vacanza in un atollo dei Caraibi (ma solo per fini creativi, of course!).
Sul podio degli stilisti maniaci dei 140 caratteri spicca Stefano Gabbana, prolifico utente di quasi tutti i social, ma attivissimo principalmente su Twitter e Instagram con quasi 260.000 follower, e, una su tutti, Victoria Beckham, regina incontrastata dei cinguettii con oltre tre milioni di follower, in visibilio per ogni singola sillaba che edita. Ma c'è un altro stilista che twitta ossessivamente, a volte sparando a zero e diffondendo bufale grandi quanto le adorate bestiole che preparano la mia mozzarella preferita: stiamo parlando di Roberto Cavalli, oltre 2.500 tweet postati e poco più di 200.000 follower, potete seguirlo sull'account @roberto_cavalli per scoprire che:
  • possiede 2 cani, 1 gatto, 4 pappagalli, 1 merlo indiano, 1 macaco... da qui la sua passione per l'animalier, suppongo (tweet del 16 aprile)
  • chiama tutti i suoi contatti (celebri e meno celebri) AMORE (vedi Miley Cyrus e Cindy Crawford)
  • fa un utilizzo disinvolto della grammatica inglese (d'altronde quando si è creativi... )
una delle tante pic di Roberto Cavalli su Twitter (via Twitter.com)
Ma tra i tanti cinguettii dello stilista, uno in particolare ha colpito la mia attenzione...una sfilza direi. Per la precisione questi:


Fashion Mafia? Baciamo le mani.... (Via Twitter.com)

Etichettatto subito come "folle delirante" da parte della stampa glamour americana (guai se tocchi la loro Annina!), tuttavia lo stilista ha messo per iscritto una serie di realtà innegabili che caratterizza il fashion system degli ultimi tempi: la mancanza atavica di stilisti francesi, la moda come grande macchina per far soldi (epperò se puoi farti le vacanze creative nel villone in Sardegna lo devi pure a 'sta macchinetta, Robertino...) ma soprattutto l'evidente accusa che lancia alla Wintour, rea di aver snobbato le sue sfilate poichè lo stilista non fa inserzioni pubblicitarie su Vogue Usa.
Non è la prima volta che lo stilista dice la sua contro la direttora di Vogue (già in precedenza si era espresso contro la Wintour, rea di aver assogettato milioni di donne americane al suo stile personale) tuttavia in questo caso la faccenda è ben più grave. Al di là dei favori e gusti personali, è innegabile che determinati personaggi si muovano lì dove l'investimento tira: le riviste hanno bisogno di introiti pubblicitari e le case di moda hanno bisogno di pubblicità mirata. Un personaggio ritenuto autorevole dal sistema moda, difficilmente non porterà prestigio e introiti sicuri se presenzia in prima fila ad una sfilata. Da qui il dubbio di quanto siano realmente influenti redattori e supermegadirettori, se effettivamente siano loro a promuovere o bocciare determinate proposte, o quanto invece queste proposte vengano sospinte da un ingente investimento pubblicitario.
E se si guardano le cifre dell'ultima indagine Pambianco sugli investimenti pubblicitari nelle principali testate italiane, i dubbi aumentano: ad oggi gli investimenti pubblicitari rappresentano la spesa più ingente per la maggior parte delle aziende, da 5 fino al 10% del fatturato, un giro d'affari che vale, solo in Italia, oltre 702 milioni di euro.
Curiosa coincidenza: Prada è il marchio top spender in assoluto, con oltre 19 milioni di euro investiti in pubblicità nel 2011, con un aumento dell 84% rispetto al 2010. Ma Prada è anche il brand di cui riviste e magazine parlano di più: tra quotazioni salvifiche in Borsa, celebrazioni della stilista, sfilate rivoluzionarie su cui spesso sento di dover dissentire (la collezione s/s 2012 tutta fiamme, stampe e american way of life?no grazie).
Altro discorso per i redazionali: quegli splendidi servizi patinati, realizzati da talentuosi stylist, che si ritiene siano dettati da libere scelte redazionali, ma che in realtà sono comunque pilotati da forti investimenti aziendali, per quanto non quantificabili. Un esempio su tutti? Su un totale pari a 399 milioni di euro in redazionali, spicca nuovamente al primo posto il gruppo Prada, con oltre 7 milioni di euro, seguito a ruota da Gucci, Dolce&Gabbana, Chanel, Louis Vuitton... insomma tutti i brand che vi fanno sognare quando sfogliate la vostra rivista preferita. Tutti brand che spendono, e anche tanto, in pubblicità. Ma queste, dicevamo, sono solo coincidenze.

Dati alla mano, risulta quindi difficile contraddire Roberto Cavalli e bollare i suoi tweet come semplice sfogo: che il mondo della moda oggi sia  sempre meno collegato a concetti come creatività e arte, e debba tener conto sempre di più di introiti e fatturati, è ormai un dato di fatto. E se lo stilista fiorentino si ritiene danneggiato dai maneggi di questa "fashion mafia", si può tuttavia ritenere soddisfatto: a fronte degli investimenti fatti, il marchio Roberto Cavalli figura al quarto posto per tasso di resa, ossia il rapporto tra spese in pubblicità e ritorni in redazionali: per la serie, spendi poco ma piazzati bene. E in questa classifica, il gruppo Prada figura solo al 25esimo posto.

Stai a vedere che poi, tutta questa pubblicità, neanche serve?

TIP: per le curiosone incallite, come me, il resoconto completo dell'indagine è disponibile qui.

lunedì 23 aprile 2012

Scene da un matrimonio

L'unico business che non conosce crisi? Ma il settore dei matrimoni, naturalmente. Le più svariate commedie sentimentali, i più bei film d'amore e le favole più antiche di tutti i tempi ce lo insegnano: non c'è vero happy ending senza tripudio di confetti e fiori d'arancio. D'altronde Biancaneve mica è saltata in sella al cavallo assieme al suo cavaliere per andare a convivere in un monolocale in centro... tanto valeva rimanere con i suoi sette piccoli zii putativi, commercianti di diamanti e possessori di villettina in campagna!
Eppure, care le mie sognatrici in attesa del principe azzurro, sposarsi costa, e anche tanto: e se è vero che si possono operare tagli sostanziosi a cerimonia e invitati (per la serie "famose du' spaghi e la zia Concetta la lasciamo a casa, che tanto c'ha l'artrite") lo stesso non si può dire per l'abito, croce e delizia di ogni sposina degna di questo nome.

E proprio a sposine (giustamente) parsimoniose ha rivolto l'attenzione il team creativo di Topshop, mecca fashion in quel di Londra, oggi marchio internazionale e veicolo dei più recenti trend in tutto il mondo. La notizia è stata data via Twitter e ha scatenato l'attenzione e la curiosità di fashion addicted e future sposine : a giugno verrà lanciata la nuovissima  bridal capsule collection di Richard Nicoll, talentuoso diplomato della St Martin School (per intenderci, la scuola d'arte che ha visto emergere talenti del calibro di Alexander Mc Queen, Gareth Pugh e Stella Mc Cartney, mica i primi stracciaroli), un tempo collaboratore di Marc Jacobs per Louis Vuitton, oggi stilista di un marchio che porta il suo nome. Avete letto bene: bridal, per spose, si, per tutte quelle che hanno accalappiato il proprio mister Big e sono pronte a tutto pur di trascinarlo sull'altare.

La collezione ha suscitato commenti positivi e perplessità da parte degli addetti ai lavori: può funzionare una collezione low cost per spose? Dove va a finire il concetto di unicità dell'agognato e sognato abito da sposa? E la cura per i dettagli? La preziosità dei materiali? D'altro canto, va anche osservato come il settore dell'abbigliamento per cerimonia è forse l'unico che non ha beneficiato ancora del vantaggio competitivo dell'ingresso dei colossi del fast fashion nel mercato (tradotto: necessità di vendere un rene  al mercato nero pari a zero). Una bella scommessa per il marchio Topshop, che vede fattibile la possibilità di allargare la propria offerta commerciale, e per lo stilista, impegnato in un settore del fashion system non proprio facilissimo: diciamo che la minaccia dell'effetto nuvola è proprio dietro l'angolo.
Va anche detto che Nicoll non è nuovo a questo genere di abiti. Vogue UK ha infatti pubblicato un paio di foto di abiti da sposa disegnati dallo stilista per due sue amiche, una sorta di rassicurazione preventiva per tutte le interessate:

discutibile l'abito da sposa a destra, essenziale ed elegante quello a sinistra (via Vogue.co.uk)

A questo vanno aggiunte le indiscrezioni trapelate dal web che, pur non offrendo immagini rubate dal photoshoot, assicurano sulle intenzioni di offrire "un'alternativa moderna alla cultura della meringa",un principio comune all'azienda e allo stilista. Astenersi amanti dei vestiti caramellosi e principeschi.

Ma il vestito è solo il primo di una serie di dubbi amletici che affliggono i novelli sposi. E trovare futuri coniugi disposti a spendere per il giorno più bello della loro vita è sempre più raro.
Certo, perchè se è vero che, almeno in Italia, il numero dei matrimoni è in calo, soprattutto i riti religiosi, a favore invece di riti civili e seconde nozze, è anche vero che le cifre del settore sono nettamente in rialzo, dal 2 al 5% almeno stando ai dati Federconsumatori del 2011. Ad oggi un matrimonio in stile classico, con cerimonia, ricevimento e parenti in lacrime costa dai 33 ai 56.000 euro, per un giro d'affari in tutta Italia di oltre 10 miliardi. Un pò meno se si sceglie una formula low-cost, puntando sulla qualità ma effettuando drastici tagli sugli invitati. E se si ripiega sulla festa intima, nulla viene risparmiato per l'abito da sposa: le italiane non sembrano proprio rinunciarci, al punto da raggiungere cifre che vanno dai 3.500 ai 7.300 euro, tra abito e accessori. Questo e altro per essere bellissime nel grande giorno. Arrivando anche a chiedere prestiti, come circa il 2% delle coppie che, rivolgendosi ad istituti di credito, adducono come motivazioni le spese matrimoniali.

Due cuori e una capanna resta il miglior augurio che si possa fare a due novelli sposi: ma se la capanna è in un resort polinesiano a cinque stelle, dove la coppia felice è fuggita per il viaggio di nozze, forse è anche meglio.

mercoledì 18 aprile 2012

La rivincita delle bionde?

Reinventarsi. Riciclarsi in più ruoli. Questo sembra essere il diktat degli ultimi anni. Complice la crisi, la voglia di sperimentare o semplicemente l'apertura al nuovo. Nulla da eccepire, chiaro, eppure leggendo un editoriale di Franca Sozzani, non mi sento decisamente di concordare con lei. La mega direttora di Vogue parla infatti di bellezza, cervello e capello color grano: un mix formidabile che avrebbe portato alle vette più alte della meritocrazia italiana una top model di tutto rispetto, Eva Riccobono.
In sostanza, la bionda Sozzani esprime felicitazioni supreme per la bionda Riccobono e il suo esordio nei palinsesti nazionali con un nuovo programma di divulgazione scientifica e approfondimento intitolato, manco a farlo apposta, Eva, un format-pilota di sei puntate in onda in prima serata su Rai2. Nulla di strano, ma neanche nulla di talmente trascendentale da essere salutato dalla deus ex machina della moda italiana come un grande esempio di come la Riccobono abbia dimostrato la sua intelligenza  oltre che la sua innegabile bellezza. 

La modella Eva Riccobono all'esordio del nuovo programma di "sperimentazione" Eva (via blogosfere.it)

Non voglio certo insinuare che la modella sicula sia stupida, tutt'altro... ma da qui a pensare che presentando semplicemente un programma televisivo di stampo pseudo-scientifico, si possa dimostrare  qualcosa ce ne corre. Non è autrice di un programma, nè di un reportage all'interno di esso, nè chiamata a gestire un dibattito... semplicemente legge e lancia i servizi (discutibili) del programma in questione, niente che una Fiammetta Cicogna non avesse già fatto, o che un Roberto Giacobbo non sappia fare, per quanto non possegga lo stesso phisique du role della modella. Spiegatemi dove sta l'intelligenza, a meno che il saper leggere sia ritenuta una dote ad appannaggio di pochi, e in tal caso, ritengo anche l'intonazione meritevole di una certa attenzione. Il risultato è un programma banale e scialbo (ma di questo la Riccobono non ha colpe) in cui lei decisamente non c'entra niente. Ed è un peccato, visto che potrebbe essere impiegata in molti altri contesti, dove realmente farebbe la differenza, a fronte della sua esperienza sulle passerelle di tutto il mondo. Da quando in qua trovare il proprio posto al sole in uno dei tanti format di moda è qualcosa di esecrabile... di sicuro preferirei lei ad una Miss Italia scialba (vedi la Ferolla su Rai5). 

Però a quanto pare, Franca preferisce sguazzare nei luoghi comuni, dal binomio scienza-intelligenza a quello scontatissimo e francamente superato donna bionda-oca giuliva. Con l'aggiunta di un aggravante: portare ad esempio della sua tesi un'altra celebre bionda, da lei difesa a spada tratta, la onnipresente Beatrice Borromeo, l'unica in grado di saltare da una copertina patinata ad un articolo di denuncia sociale, e nel frattempo tessere stretti legami con un Santoro e un Travaglio di passaggio, e in tutto questo elevata a sacro esempio di intellighenzia italiana perchè "parente di nessuno". Spero di cuore che la Sozzani stesse facendo una velata satira. 

E in tutto questo mi sconforta constatare che la lettura di editoriali di persone che certamente dovrebbero avere una capacità di analisi del tessuto sociale maggiore della media, si rivelino essere un ripescare concetti triti e ritriti: la profondità di queste riflessioni è pari alle sfide bionde contro brune a Non è la Rai. Marylin Monroe ci aveva giocato fino alla nausea sullo stereotipo della bionda svampita, ma era quasi cinquant'anni fa; davvero nel 2012 ci si può ancora perdere dietro avvizzite questioni di carattere neuronico-tricologico?

Andiamo Franca: la rivincita delle bionde è già avvenuta da tempo.

lunedì 16 aprile 2012

Labbra bestiali

Cosa fareste voi per ingannare il tempo durante un noioso pomeriggio estivo? Di sicuro non prendereste della vecchia pittura per il viso usata durante l'ultimo Halloween (o Carnevale, ve la abbono questa!) per realizzare questo

Bzz Bzz... (Via deviantart.com)


Già perchè voi non rispondete al nome di Paige Thompson, giovane artista americana di 21 anni, che ha spopolato sul web per via di questa sua originalissima forma di body painting. Tramite il suo nick di Deviantart, viridis-somnio, ha iniziato a pubblicare questi suoi primi esperimenti artistici, un mix tra fotografia, makeup, body painting. E da subito è arrivato il consenso degli assidui frequentatori, che hanno iniziato a commissionarle soggetti. Così sono arrivati il gatto nero...

Meooowww! (Via deviantart.com)
...poi il più copiato di tutti, il volpacchiotto!

labbra da volpacchiotto (Via deviantart.com)
Infine il granchio...

O_O (Via devianart.com)
... il camaleonte...

Karma, karma, karma, karma, karma chameleon... (Via deviantart.com)
...l'happy hyppo made in USA...

mamma quanto mi ricorda l'ippopotamo dei Pampers! (Via deviantart.com)
...e poi un tenero castorino...

Labbra (e denti) da castoro! (Via deviantart.com)

...un incredibile panda...

O_O parte II (Via deviantart.com)
...la foresta selvaggia rivive nella tigre...

mouth of tiger! (Via deviantart.com)
...ed infine in una strippatissima zebra!

in the jungle, the mighty jungle... (Via deviantart.com)
Ogni scatto necessita di circa 30 minuti di preparazione, più lo studio della posa più adatta per rendere più animalesche le labbra così camuffate.

Un progetto nato per gioco, che sembra sia diventato qualcosa di serio: se infatti, gli inizi sono costellati di pittura scadente e makeup da tutti i giorni, i progetti successivi sono caratterizzati dall'utilizzo di materiali professionali, pitture ad acqua, incluso il celebre aquacolor della Kryolan (il non plus ultra dei professionisti del body painting). E ad oggi vanta collaborazioni con agenzie fotografiche per la vendita delle sue foto, animal lips series e non solo. Se date un occhiata al suo profilo, vi accorgerete che la ragazza aveva già manifestato la sua lip obsession.

Che dire? Questa sì che è una forma d'arte in punta di labbra.

venerdì 13 aprile 2012

Color forecast: la nuova frontiera della comunicazione per Pimkie

Ammettiamolo, lo facciamo tutti. Stiamo lì a scalpitare dalla voglia di indossare i nostri vivaci e coloratissimi capi estivi (che abbiamo acquistato con largo anticipo, più o meno intorno febbraio, mentre fuori infuriava pioggia e vento) e tuttavia un amletico dubbio ci assale: ma non sarà troppo presto? E poi, chi ci dice che abbiamo puntato sul colore giusto? Siamo state lì a sfogliare avidamente riviste di moda e cliccato come forsennate sui principali blog di moda...e se si fossero sbagliate? Magari il color cinabro non rientra proprio nella palette di colori della prossima stagione, ed il tangerine? Quale sfumatura è quella più cool? Roba da rompersi la nostra fragile testolina da fashion addicted. Per fortuna la tecnologia ci viene incontro, promossa, ca van sans dire (oui, je parlè francais com se nient' foss!) dai marchi di fast fashion. E stavolta il colpaccio lo fa Pimkie, marchio francese low-cost, iscritto nella costellazione di brand che gravitano intorno al colosso della grande distribuzione Auchan.

Il colore è uno degli aspetti cardine dei nostri outfit: canna questo, e puoi dire addio alla tua reputazione di fashionista. D'altronde paese che vai, colore che trovi. Così il marchio très èconomique ha elaborato una particolare servizio di color forecasting: collegandosi al sito www.pimkiecolorforecast.com è possibile infatti monitorare e scoprire quale colore va più di moda nelle principali capitali della moda europea. Come? Tramite una rete di webcam installate nei punti nevralgici e più trendy di Parigi, Milano, Anversa (Anversa? No, da quando in qua Anversa è una capitale della moda... a 'sto punto allora Salerno è la nuova San Francisco) che monitorano il passaggio degli abitanti e ne scannerizzano i colori dei capi. Successivamente un programma specifico elabora i dati raccolti, seleziona i colori più indossati e presenta i risultati in tempi reali. Inoltre, è possibile visionare i risultati secondo un timing orario, giornalier o settimanale: vuoi mettere la soddisfazione di sapere che a Milano alle 8 di mattina va di brutto il senape, mentre l'ora dopo è stato soppiantato dal verde oliva? Per aiutarvi nella comprensione del complesso software, ecco un chiarissimo video esplicativo



Il progetto è frutto della creatività senza confini della Happiness Brussels, agenzia di comunicazione di Bruxelles, già partner di Pimkie in occasione di una precedente campagna di comunicazione, sulla base di un software di color-tracking sviluppato dal programmatore portoghese Pedro Miguel Cruz. In cantiere, oltre ad un potenziamento del software su web, anche la realizzazione di un app specifica.
Decisamente sono queste le strategie comunicative che mi piacciono: divertenti, pseudo-utili, nate sul web e diffuse tramite esso. E indubbiamente furbe, grazie ad un servizio integrato che presenta capi Pimkie del colore selezionato dal software: una sorta di color lookbook per orientare le scelte del potenziale consumatore. Come al solito, quindi, sono i brand del fast fashion che hanno qualcosa da insegnare ai grandi marchi del lusso e riescono a rivolgersi ad un segmento di utenza ampio e variegato, sia per fascia d'età che per nazionalità.
Personalmente, sono già diventata color addicted!

CURIOSITA': il colore trendy di Milano in questo momento, 13 aprile alle ore 21.00 è il rosa chiarissimo, pastello. Nonostante il tempo impietoso (ho controllato il meteo).

giovedì 12 aprile 2012

DIY: make your zip hairband!

Voglia di frivolezza, leggerezza, creatività. Solo così riesco a spiegarmi il perchè di questo post: a furia di parlare di cronache fashion-giudiziarie, strategie di comunicazione, gente che viene e gente che va nel fashion system, avevo decisamente voglia di proporvi (ammorbarvi con) un altro progetto DIY (leggi: in realtà sono cotta e non avevo la forza intellettuale di scrivere un post serio!). Vediamo se riesco a scuotere il lato creativo che c'è in voi con questo


tralasciando il netto bicolore dei miei capelli, ecco un progettino veloce veloce per realizzare un hairband davvero originale e soprattutto facile (vi parla una che suda sette camicie per cucirsi decentemente un bottone, ho detto tutto!). Vi occorreranno:

Una zip (indispensabile direi) di qualsiasi colore ma vi consiglio la chiusura dorata, argentata o comunque in contrasto con il tessuto sottostante: l'effetto sarà molto più d'impatto;

un elastico, nello stesso colore della zip, io l'ho scelto abbastanza sottile, in modo da realizzare poi due bande parallele;

ago e filo (e possibilmente una perizia nel cucito maggiore della mia)

bottoni (opzionali)










Procurato tutto?ok, let's go. Inizio con il tagliare due pezzi di elastico, avvolgendoli intorno alla testa per aiutarmi nel calcolare la lunghezza. TIP: la lunghezza va calcolata in base a quella della cerniera, ma tenete conto di tagliarne un pò di elastico in più, così da mantenere la fascia più tesa intorno alla testa.


Cucite gli elastici alla parte finale della zip. Poichè è divisa in due parti, ecco spiegati i due elastici, ma se siete più abili di me (sicuramente) potete utilizzare anche un elastico più grande e cucire l'intera parte finale della zip ad esso.


Cucite l'elastico su entrambi i lati della zip. Assicuratevi di dare parecchi punti alle estremità.
Poi, dato che sono la regina della sobrietà, ho deciso che la fascia era troppo nuda e semplice con una semplice zip, così ho aggiunto un bottone...


...e poi un altro (massì, fai vedere che abbondiamo!)


Naturalmente, se siete più inclini alla sobrietà, potete saltare questo passaggio. Alla fine il risultato sarà più o meno questo:


Io lo trovo molto carino e originale. Se avete più capelli di me (sigh,beate voi!) e soprattutto più voluminosi e ricci, potete aprire completamente la zip per svelare i vostri splendidi riccioli, boccoli&affini.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

mercoledì 11 aprile 2012

Diatribe legali intorno ad una G

Ultimamente i tribunali di tutto il mondo sembrano essere impegnati su più fronti, nelle cause intentate da varie case di moda per la difesa del proprio trademark. Se incerto è ancora l'esito dello scontro nella punta estrema del Sud Africa, tra una commerciante fantasiosa e un brand italiano con poca voglia di scherzare (vedi il caso Dolce&Banana, di cui il puparuolo ha egregiamente parlato), lungi dal trovare un accordo è il caso delle due G a confronto, il brand americano amato dalle giovanissime e il colosso italiano della pelletteria di lusso, controllato dalla multinazionale francese Ppr : Gucci contro Guess.
I fatti risalgono a qualche anno fa, quando la storica casa fiorentina ha accusato l'azienda americana di contraffazione, piazzando sul mercato prodotti recanti "imitazioni studiate del marchio Gucci". Secondo l'avvocato della presunta parte lesa Louis Ederer, infatti, Marciano e co. avrebbero elaborato una strategia precisa al fine di sottrarre consumatori al marchio sinonimo del lusso italiano nel mondo; e non si parla di accuse campate in aria, ma di dati concreti: oltre 200 milioni di dollari, questi i guadagni sfumati a seguito della concorrenza sleale operata dagli americani, almeno stando ai calcoli dell'azienda fiorentina.
Tutte accuse infondate secondo l'avvocato della Guess, Daniel Petrocelli: inutile tentare il raffronto tra due marchi che si pongono in segmenti totalmente diversi sul mercato, con capacità di spesa radicalmente differenti. Anche il tipo di prodotto risulta diverso, secondo il legale, in quanto "Guess non ha alcun motivo di essere come Gucci e non ha pianificato di essere come Gucci: Gucci utilizza la pelle, Guess la plastica".
Due diverse strategie di penetrazione, quindi, così come due diversi consumatori-tipo. Eppure le motivazioni non sembrano essere sufficienti per Gucci. In risposta Louis Ederer ha elencato quelle caratteristiche che gli americani avrebbero liberamente riprodotto: la G stampigliata e riprodotta sull'intero tessuto, il ricamo a losanghe, l'utilizzo di bande di color rosso e verde, tutti eblematicamente riuniti in un modello in particolare, la sneaker da uomo, modello Melrose

In alto la sneaker firmata Gucci, in basso quella firmata Guess...o viceversa?aspè, mmm...boh! (via Fashionista.com)
Difficile dimostrare la propria estraneità ai fatti e parlare di semplici coincidenze... In difesa della Guess si è mosso anche l'ad Paul Marciano, che ha definito il pattern  in questione come "comune nel mondo della moda e non un particolare di Gucci". Ma se per una suola rossa non si può invocare il trademark, diversamente non si può dire di una trama così curiosamente simile. Ad aggravare il tutto ci si mette anche le prove a carico di Paul Vando,ex direttore del settore prodotto uomo della Marc Fisher Footwear, l'azienda terza fornitrice di calzature per la Guess: secondo l'accusa, infatti, la Marc Fisher avrebbe fornito campioni di tessuto Gucci per i fornitori della Guess, al fine di "trarre ispirazione" da colore e trama, giocando quindi un ruolo fondamentale nel piano di contraffazione ordito dall'azienda made in USA. A provarlo sarebbero una serie di mail scambiate tra l'azienda terza e la Guess, che sembra facciano riferimento a prodotti specifici di Gucci, inseriti in un lasso di tempo tra il 1995 fino al 2008. E in tutta risposta, Paul Vando sembra abbia difeso le strategie aziendali, ammettendo che era prassi comune della Marc Fisher trarre ispirazione e prendere spunto da modelli celebri di quasi 100 marchi, dai più sportivi come Nike e Puma, a quelli più stylish e di lusso come Prada e Louis Vuitton. E secondo Fashionista, Marc Fisher non è estraneo a casi di violazione del diritto di proprietà intellettuale...

Una curiosità: di fronte alla denuncia presentata tre anni fa da Gucci, sembra che Paul Marciano si sia domandato il motivo di tale ritardo, a fronte di una violazione risalente già dal 1995. Ebbene, pare che l'avvocato interno alla Gucci abbia dimenticato di rinnovare la propria appartenenza all'associazione legale di Stato (una sorta di Ordine di avvocatura americano), senza la quale risulta impossibile esercitare la professione in alcuni stati USA.

Senza parole: impossibile non pensare ad una puntata stramba di Ally Mcbeal.

martedì 10 aprile 2012

"J'adore Dior!": così parlò Raf Simons

Finalmente, ci siamo levati un peso. Dopo mesi di asfissianti tam-tam, rumors e voci di corridoio, ecco svelato l'oscuro segreto. Prima si è parlato di Riccardo Tisci, poi di Alber Elbaz (ma figurariamoci, visto il contratto che lo lega alla maison Dior). Ancora, è stato fatto il nome di Marc Jacobs ( che avrebbe così vinto il premio "dipendente dell'anno" della LVMH, per la quale è direttore artistico di Louis Vuitton e di Marc Jacobs), di Alexander Wang, di Aider Ackermann... Infine è stato fatto il pari e dispari tra il ritorno di John Galliano e l'assunzione a tempo indeterminato del suo braccio destro/sostituto Billy Gaytten. Una sfilza di nomi e ancora nulla su chi avrebbe preso il comando della maison Dior, orfana da circa un anno del suo ultimo comandante/stilista John Galliano.

E poi ha vinto su tutti Raf Simons, stilista belga, dal 2005 direttore creativo del marchio Jil Sander e provvisoriamente iscritto nelle liste di disoccupazione dallo scorso febbraio, salutata l'azienda e gli aficionados alle ultime sfilate milanesi.

e il nuovo stilista di Dior per il 2012 è il numero 27...Raf Simons!!!! (via notizie.liquida.it)

La notizia è stata data dal New York Times, e subito gli insider hanno incassato i guadagni delle loro scommesse. Già, perchè nessuno se lo sarebbe aspettato, difficile immaginare un cambiamento così stridente nello stile di una maison. Questo perchè Galliano e Simons sono agli antipodi per quanto riguarda le scelte stilistiche: il romanticismo eccentrico e barocco del primo contro il minimalismo geometrico e concettuale dell'altro.
Nessun dubbio sulla scelta per Bernard Arnault: il patron della multinazionale francese e proprietario della maison Dior, ha espresso infatti grande soddisfazione e fiducia nei confronti del nuovo arrivato. La scelta sembra sia stata rafforzata a seguito della visione dell'ultima collezione di Jil Sander a firma di Raf Simons durante le ultime sfilate milanesi: la rielaborazione delle linee dal sapore vintage e del new look di Christian Dior ha letteralmente conquistato monsieur Arnault, che ha spinto l'acceleratore sulla scelta.

Jil Sander a/w 2012-13 (via Vogue.it)
Raf Simons si è dichiarato da subito entusiasta della sfida. Pur non avendo ancora visionato gli archivi della maison ha dichiarato di essere fortemente colpito dai primi dieci anni di attività di monsieur Dior e cercare di collegarli in qualche modo ai tempi odierni. Spoiler per la prossima collezione? E a chi gli domanda se sente già la pressione della grande maison, risponde semplicemente:" Sono una persona che si prende le sue responsabilità. Non sono una persona isolata. Più sono in connessione con le persone, più ho la sensazione che le cose funzionino". Non ci resta che aspettare, quindi. Prossimo appuntamento alle sfilate di haute couture di Parigi nel mese di luglio.
Save the date.

sabato 7 aprile 2012

Colorami Marc!

La notizia è rimbalzata sui principale portali, e ha galvanizzato le beauty-addicted di tutto il mondo: Marc Jacobs annuncia il suo esordio nel settore cosmetico. No, il geniale designer non ha scoperto di possedere doti da make-up artist, bensì ha scelto di addentrarsi, ultimo in ordine di tempo, nella lipstick jungle. E sicuramente non per assecondare un certo suo gusto per il make-up, come si evince dalla foto di repertorio...

"mmm...ma come dona il rosso a me..." (Via fashionista.com)

L'annuncio è stato dato tramite le pagine del Women's Wear Daily, ed il partner scelto per questa proficua collaborazione è nientedimeno che Sephora, praticamente il lato cosmetico della Lvmh, la multinazionale che tra champagne e borse monogram, macina ricavi per circa 20 miliardi di euro. Mica fusaglie. Ancora lontana la data di lancio della collezione: per il momento gli accordi sono ancora nella fase iniziale, mentre Marc gongola al pensiero di una linea di make-up con il suo nome. Lo stilista ha infatti dichiarato:"Mi piace la possibilità, laddove ci sia, di abbellire, decorare, profumare, vestire. Questo è tutto ciò che è la moda. Non è necessaria, è qualcosa che si desidera- è una fantasia e un capriccio".

E sicuramente Marc non è estraneo a questi capricci: dopo Daisy e Lola, con infinite varianti connesse, ha infatti lanciato Dot, il suo terzo profumo, in collaborazione con la Coty Prestige. Dal profumo al rossetto il passo poi è breve.
Davvero un colpaccio per Marc Jacobs. Il settore della cosmetica, infatti, rappresenta da sempre una sorta di valore aggiunto per un brand di moda consolidato: a parte rafforzare la brand image, è una sorta di test di ingresso da parte di ipotetiche consumatrici, che desiderano ritrovare gli stessi elementi stilistici di un marchio persino in blush e ombretti. A ciò aggiungici che spesso il rossetto griffato rappresenta una sorta di lusso accessibile, disponibile ad una fetta più ampia di acquirenti. Esempio: io che non posso permettermi una borsa di Marc Jacobs, acquisto il rossetto ad un prezzo molto più abbordabile, che comunque riprende lo stile e i colori della collezione; passandolo avidamente sulle labbra, mi sento parte integrante della visione del brand pur non potendo accedere a prodotti di una fascia di prezzo molto più alta. L'esempio del rossetto, poi, non è del tutto casuale: l'esperienza ci ha infatti dimostrato che, in tempi di crisi, le consumatrici tendono ad effettuare drastici tagli ai consumi di beni voluttuari, tranne che nella cosmesi. Emblematico al riguardo è il famoso esempio dell'impennata di vendite di lipstick rosso fuoco a seguito della crisi del '29, in piena recessione. Praticamente: toglietemi tutto, ma non il rossetto.

I dati odierni poi, sembrano confermare questa tendenza: nonostante il settore del lusso non registri cadute nelle vendite, trainate perlopiù dai mercati emergenti (Cina, India, Brasile), è tuttavia il settore della cosmetica quello che registra un'aumento sensibile dei ricavi, soprattutto nell'ambito di mercati saturi come Stati Uniti ed Europa.
L'Italia non è da meno al riguardo: secondo la Unipro (Associazione Italiana delle Imprese Cosmetiche) il settore cosmetico ha registrato un +1% nelle vendite, chiudendo il 2011 con ricavi complessivi pari a 9.624 milioni di euro, in netta controtendenza con gli andamenti degli altri settori di beni voluttuari. Per chi vuole espandere il proprio brand, il make-up è quindi il settore di riferimento. Un buon contratto di licensing, un partner solido, una linea che affascina le consumatrici: questi gli ingredienti per una ricetta di sicuro successo. Ma questo Marc lo sa fin troppo bene.

giovedì 5 aprile 2012

Final Fantasy wears Prada

Sarà per via della crisi, o della polemica inerente lo sfruttamento ed il mancato pagamento delle modelle (di cui ho avuto modo di parlarvi qui). O probabilmente Miuccia si è bevuta il cervello. Non riesco a trovare altre motivazioni.
La perplessità nasce dalla notizia che il marchio Prada ha vestito dei personaggi famosi in occasione dei festeggiamenti per i loro 25 anni di successi. Fin qui niente di strano: vestire vip, attori, prezzemolini di genere vario è l'attività principale dei pr dei principali brand del lusso. Peccato che qui non si stia parlando di persone in carne ed ossa, ma piuttosto in pixel e cg (computer grafica). E mica si tratta di super Mario con annessi principesse e funghetti, bensì dei personaggi di Final Fantasy XIII-2, il videogame che ha conquistato il popolo degli smanettoni della playstation per complessità di gioco, trama e grafica.
Il progetto nasce in collaborazione con il magazine per uomini Arena Homme plus, che ha pensato bene di proporre questo insolito sodalizio tra la casa di produzione SQUARE ENIX e la casa di moda italiana più famosa nel paese del Sol Levante. Detto fatto, e nel giro di pochissimo, i protagonisti del fantasy game più venduto al mondo, hanno abbandonato i loro abiti da guerrieri, per vestire quelli griffatissimi della collezione maschile Spring/Summer 2012 di Prada, con risultati a volte insoliti (vedi la protagonista Lightning, innegabilmente una ragazza, vestita con abiti da uomo).

...you free your mind in your androginy... (via gaming-age.com)
E mentre in un photo shoot virtuale, eroi dei videogiochi posano come modelli consumati, Prada tira le somme di quello che, a ben vedere, risulta essere una strategia promozionale finalizzata alla conquista del mercato asiatico. La propensione per la casa di moda milanese verso il Sol Levante è evidente: dalla quotazione alla Borsa di Hong Kong, fino all'apertura di ben 25 esercizi commerciali nell'ex impero celeste. Ormai il mercato asiatico risulta pesare di più nell'ambito dei ricavi complessivi del gruppo Prada, che ha registrato un aumento delle vendite nell'estremo oriente del 50% solo nel 2011. A ciò aggiungici la quota di consumatori relativamente giovani e con elevata disponibilità di spesa (i famosi nuovi ricchi con gli occhi a mandorla: ereditieri, imprenditori, professionisti con meno di 40 anni e conti in banca di tutto rispetto). Sono probabilmente gli stessi che, a fine giornata si concedono una partita al loro videogame preferito.

Miuccia, ma 'sta camicia? Sarò virtuale ma mica fesso! (via gaming-age.com)


E infine, vuoi mettere i vantaggi? Lightning e sodali sono belli, affascinanti, sempre giovani e magri, persino già ritoccati con photoshop. Non si lamentano se fanno orari di lavoro antelucani e non pretendono di essere pagati. A trovarla manovalanza così, in questi tempi bui...

mercoledì 4 aprile 2012

Vedo, prevedo, stravedo

Io solo un terno al lotto non prendo. Davvero. Magari anche un Gratta e Vinci, meglio ancora un 5+1 e mi sistemo a vita. Già, perchè l'avevo detto. Avevo dato sfogo ai miei deliri da puparuola/analista delle dinamiche del fashion system e avevo detto la mia proprio qui : gli innegabili vantaggi del co-branding. Praticamente una spiegazione dovevo darmela, del perchè il mercato del fast fashion pulluli di collaborazioni e perchè una grande maison si presti a vedere il proprio nome associato a magliettine di cotone a 9,90 euro. I vantaggi per il brand di lusso sono evidenti: più visibilità e penetrazione in una fascia di consumatori che per età, capacità di spesa o territorio non conoscono il marchio in questione (o magari solo di nome).

Emblematico è stato il caso Versace: attraversata una crisi nel 2009, con calo delle vendite e conti in rosso, l' ad Ferraris ha dato il via, con il consenso della biondissima Donatella, ad una vera e propria ristrutturazione finanziaria per risanare le casse della maison e porre le basi del rilancio internazionale. Tagliati i costi di qualsiasi comparto, tranne marketing e comunicazione e ufficio stile. Da qui, probabilmente, saranno partiti gli accordi per la collaborazione con H&M (che secondo rumors era stata più volte rifiutata da Donatella in tempi passati, complice il timore di svilire troppo il brand). I risultati della collaborazione sono evidenti: snobbata da molti, la collezione Versace for H&M è andata comunque sold-out, alimentando in molti nuovi consumatori il gradimento verso la Medusa.
Due cifre rendono l'idea della grande rimonta operata da Versace: i ricavi del 2011 si attestano sopra i 300 milioni di euro, mentre i conti non sono più in rosso, con un aumento netto degli utili  di 8,5 milioni di euro. Gli investimenti in comunicazione si sono rivelati, quindi, vincenti, e per sopperire a strategie che potevano intaccare il brand (vedi alla voce: ho collaborato con un retailer svedese) ecco il ritorno all'alta moda, con la sfilata di Haute Couture a Parigi lo scorso Gennaio.

E fin qui tutto regolare. Ma i vantaggi per H&M invece? Al di là del sold-out per la capsule collection (che diventa quasi ovvio nel momento in cui un brand di lusso collabora con te)? Profeticamente avevo parlato del vantaggio nell'acquisire nuovi bozzetti, nel creare una sorta di database stilistico a cui attingere. Forse un'altra delle mie stupidaggini, eppure guardate qua

strane somiglianze... (via hm.com e graziadaily.co.uk)

e ditemi voi. Se non sono uguali, sono maledettamente simili. Si ecco, magari quello di Versace ha delle decorazioni sui fianchi, e quello della Conscious Collection sull'orlo e sul davanti... ma siamo lì. Il colore è quello e a questo punto penso anche il materiale (tutto da dimostrare). E così gli svedesi fanno anche forti economie di scala, visto che le materie prime sono quelle della stagione precedente. Nel frattempo il marchio aumenta le sue proposte stilistiche e le diversifica: non si fanno solo jeans qui, ma anche abiti con una certa attenzione al taglio, a costi contenuti, un look da red carpet a prezzi da mall.


Tradizionalmente, si dice che siano gli italiani i furbetti del quartierino europeo, eppure ultimamente gli svedesi sembrano di gran lunga superarli: ma d'altronde, da gente che è in grado di convincere il mondo ad arredare casa con tavolini e mobili dai nomi impronunciabili, dopo aver penato mezza giornata per montarli, non posso aspettarmi altro.

 
p.s. ho le prove che i due abiti siano perfettamente confondibili: quando ho caricato l'immagine mi sono accorta di aver invertito le etichette e ho dovuto correggerla con il photoshop :P

martedì 3 aprile 2012

H&M Group: la moda che venne dal freddo

Lo ammetto: sono una maledetta impicciona. Mi piace informarmi, sapere, conoscere...  proprio impicciarmi (inutile, non esiste termine più appropriato). Così quando ho letto la notizia che il colosso svedese H&M ha annunciato il lancio di una nuova catena di abbigliamento (con un posizionamento di prezzo leggermente più alto, ma non al punto da definirlo un luxury brand), la prima domanda è stata: ma perchè, quante altre ce ne sono? E così, dopo un pò di tapping compulsivo sulla tastiera ecco i risultati della mia ricerca: 5 catene di abbigliamento (che diventeranno 6 nel 2013, appunto), circa 2.500 negozi in 44 mercati e l'obiettivo di aumentare i propri punti vendita del 10-15% all'anno.

In questi primi mesi del 2012, il colosso del fast-fashion ha chiuso con un +3% con vendite stimate intorno ai 3 milioni di euro, nonostante l'aumento del costo delle materie prime che sembra non abbiano fatto registrare l'aumento di utili stimato dagli analisti. Poco importa: il brand nord-europeo, nato nel 1947, è sempre più deciso a scalzare la spagnola Zara dalla posizione di predominanza nei mercati internazionali. Da qui la scelta di diversificare l'offerta, lanciando diverse catene di abbigliamento, tutte autonome e complementari dal punto di vista dell'offerta, così da coprire un range sempre più vasto di consumatori. Da qui anche il lancio di un nuovo marchio con prezzi e qualità (si suppone) leggermente superiori: persino la maniaca dello shopping meno attenta al portafogli può notare infatti come Zara ed H&M si posizionino su due fasce di prezzo diverse. Secondo indiscrezioni di Fashionista , il nuovo brand potrebbe chiamarsi & Other Stories
...

Un minuto di silenzio, vi prego.

Davvero il nome più brutto e senza senso che si possa dare ad un marchio. Spero sinceramente sia una bufala.
Tralasciando il marchio di punta e soprattutto gli improbabili nuovi brand in arrivo, ecco quali sono le proposte cheap&chic del gruppo, dalla Svezia con amore.

COS: secondogenito della famiglia, il marchio COS rappresenta la risposta concettuale e di design del gruppo, per gli appassionati delle linee pulite e degli abiti essenziali. Uno stile minimalista, anche nei prezzi (nonostante siano leggermente più alti rispetto a quelli di H&M) che rappresenta una grande scommessa per il Ceo Karl-Johan Persson, che ha annunciato recentemente la scelta di puntare proprio su questo marchio per una nuova espansione nei mercati internazionali. Sarà questione di poco, quindi, e poi i primi store COS apriranno i battenti anche in Italia.

COS Lookbook s/s 2012 (via cosstores.com)

Monki: insieme a COS rappresenta il secondo marchio scelto dal gruppo per l'espansione internazionale. Al momento ha aperto punti vendita in Germania, UK, Hong Kong, oltre che nel Nord Europa, ma l'obiettivo sembra sia anche il mercato americano e italiano (speriamo!). A differenza di H&M e del fratello minore e concettuale COS, vanta proposte stilistiche più easy, giovani e creative (alla fine del post un piccolo assaggio) a prezzi decisamente più contenuti.


Monki s/s 2012 (via monki.com)

Weekday: con punti vendita sparsi in tutto il Nord Europa, veicola il lato più sporty e facile del gruppo, puntando molto sullo streetwear e il denim. Fa parte del marchio anche Cheap Monday, il brand che ha rivoluzionato la vestibilità del jeans in tutto il mondo: skinny, sottile e a vita alta.
MTWTFSS Weekday Lookbook s/s 2012 (via weekday.se)
Con una simile espansione commerciale, risulta difficile pensare ad un altro competitor che possa spartirsi il mercato (soprattutto europeo) assieme a Zara e H&M: logico quindi che i due big stiano agendo in modo da sottrarre l'un l'altro quote di un mercato che, ormai, è nelle loro mani. E se Zara ha il vantaggio di produrre operando forti economie di scala (leggi: faccio t-shirt e jeans senza affidarmi a terzisti, procurandomi da solo le materie prime) H&M ha dalla sua l'attenzione al prodotto, disponendo di un team di giovani stilisti operanti nelle collezioni di tutti i marchi e di una strategia di comunicazione (a mio avviso) vincente. Nessun altro gruppo del fast fashion fa un utilizzo così attento dei media, dal corporate magazine distribuito nei punti vendita e online, al canale youtube, che sforna video a ritmo costante, senza dover obbligatoriamente parlare di eventi strettamente legati al marchio. Così, ogni articolo, post, video non sembra una promozione sfacciata del marchio (anche se un pò in realtà lo è) ma semplicemente un info, uno spunto, totalmente slegato e indipendente dal contesto promozionale.

Ma visto che non posso continuare a cianciare di mercati, profitti e affini, e devo in qualche modo dare sfogo alla mio lato frivolo e spendaccione, ecco qui degli ottimi motivi, a mio modestissimo avviso, per cui Monki batte di gran lunga gli altri brand della grande famiglia svedese (H&M è fuori dai giochi in quanto padrino, quindi sacro e intoccabile)

Vi prego di notare il grande sforzo..anche perchè non l'ho fatto con Polyvore!
1. Watermelon clutch per essere chic e ironiche anche dal cocomeraio (termine improprio per definire quei banchetti posti sul ciglio delle strade, nelle ridenti cittadine costiere del Sud, dove puoi gustare una bella fetta di anguria in una location molto spartana).

2. Cloud ring sono nuvole? Panna montata? Chissenè, sono anelli e anche molto belli.

3. Cubanello sono un grandissima copywriter, lo so, (o una grandissima demente, a voi la scelta) ma questo anello dalle linee pulite ed essenziali è dedicato a tutte quelle che anelano ad un sano rigore nella propria vita, almeno sulle dita.

4. Banana bag fa molto Prada dell'anno scorso, ma suvvia, non siate delle fashion addicted. Potete sempre dire che serve per tenere buono il vostro fidanzato gorillone.

i +3 rimanenti motivi sono gli outfit, scelti secondo precisi requisiti: colore (perdutamente innamorata dell'arancio quest'anno) stampe (ma quanto sono belli quei leggings?) e desideri reconditi (splendida tuta ma, davvero, quella scollatura non saprei proprio come riempirla).
Il motivo che però batte tutti è il prezzo: da brava puparuola oculata, ho silenziosamente esultato apprendendo che la clutch, ad esempio, potrebbe essere mia per 20 euro (+9 euro di spese di spedizione). Ci sto pensando, giuro.







p.s. Noto con piacere che l'autorevolezza che sfoggio mentre snocciolo dati e cifre, viene meno quando si parla di moda o, più banalmente, di cose che mi piacciono.
Spero di migliorare.


UPDATE: The Cut ha confermato, il nuovo marchio si chiamerà & Other Stories... non mi esprimo.

lunedì 2 aprile 2012

Provaci ancora Yamamay!

Non c'è pace nei cieli di Gallarate. La Inticom S.p.a. , big italiano del settore intimo e beachwear  ha annunciato la prossima testimonial per la campagna pubblicitaria estiva targata Yamamay. Ed immediatamente è scattata la polemica. Niente da fare, a quanto pare sembra che l'azienda non sappia proprio scegliere chi possa rappresentarla: se tempo fa, infatti, la capsule collection di Chiara Ferragni aveva scatenato i dissensi più sfrenati del popolo del web, adesso quello stesso popolo (costituito principalmente da potenziali consumatori, non dimentichiamolo) si dichiara molto insoddisfatto riguardo la scelta della nuova testimonial, Federica Pellegrini.

Federica Pellegrini per Yamamay (via yamamay.com)

"Cosa fa Federica quando non nuota?" colleziona sponsor, evidentemente. Tra contratti con Enel, Emporio Armani, Barilla (i Pavesini per intenderci) e altri sponsor tecnici, la Pellegrini di sicuro ha ben capito come far fruttare al meglio la propria immagine, il cui valore sembra sia passato dai 2 ai 4 milioni di euro (questa la cifra che la"creatura d'acqua dolce" incassa grazie a questo pacchetto di sponsor).  E alla vigilia delle Olimpiadi bisogna spingere il piede sull'acceleratore. Yamamay è solo l'ultimo marchio, in ordine di tempo, ad aver scelto l'atleta, oro a Shangai nei 400 e 200 metri stile libero. E allora, perchè tutte queste polemiche? A differenza della Ferragni che l'ha preceduta, la Pellegrini è un'atleta, una ragazza vincente che ha raggiunto determinati traguardi per meriti personali e non certo per fortuna. E nonostante questo, i consumatori non sembrano propendere per lei. Lungi dal raggiungere le feroci critiche e le stroncature per l' "insalatina bionda",  Yamamay si è vista comunque costretta a rispondere a commenti non proprio favorevoli.
Il problema sembra risiedere in una percezione precisa dell'atleta veneta: lungi dalle polemiche nazional-sportive (Fede che si rifiuta di fare la portabandiera alle Olimpiadi) e dai pruriginosi gossip della scorsa estate (Fede che stava con Luca Marin, ma lo lascia per Filippo Magnini, epperò già aveva una tresca con lui ecc...) l'atleta veneta risulta poco adatta a rappresentare un'azienda di intimo perchè "poco sensuale". Tralasciando l'antipatia verso il personaggio, sentimento parzialmente condiviso da chi ha commentato sul blog e sulla pagina fb di Yamamay.
Io quoto la proposta della Fornero come nuova testimonial! (commenti sulla pagina fb di Yamamay)

 
Si insinua il dubbio di indagini di mercato sbagliate...

Le foto sembrano dare man forte a chi non ritiene la Pellegrini adatta ad indossare i sensuali  e femminili completi dell'azienda, e rafforzano la convinzione già maturata in tempi passati, di un utilizzo troppo disinvolto e sfacciato del photoshop (Celebre il caso di Isabella Ferrari in uno spot girato da Paolo Sorrentino, in cui c'è tutto tranne l'ombelico dell'attrice). Scelta incoerente, vista la strategia promossa ultimamente dal marchio, alla ricerca di donne vere e carismatiche invece delle solite modelle. E se il consumatore volesse invece le modelle? Se la ragazza che sfoglia distrattamente una rivista preferirebbe vedere una modella (bellissima e anche photoshoppata) invece di un'attrice/nuotatrice/blogger(dio ce ne scampi!) che si presuppone ricopra un ruolo talmente diverso da quello di mannequin, da non curarsi del rotolino che sporge e della cellulite che affiora, e con esse l'azienda stessa? Un pò come la celeberrima campagna Dove, con donne vere e imperfette (delicatamente ritoccate) e fiere di esserlo. Cannata anche, la scelta di prendere un'atleta e metterle du'straccetti addosso: in clima di Olimpiadi, risulta essere la scelta più praticata, ma anche  molto scontata. 

c'è qualcosa di strano in quella vita...

Diciamo che dopo il caso Ferragni, un pò di accortezza ci voleva insomma. Personalmente, trovo non felice l'atmosfera della campagna stessa: la Pellegrini è a mio avviso una splendida ragazza e un'atleta di tutto rispetto. Da ex-nuotatrice, so come cambia il corpo, sottoposto ad allenamenti intensi: spalle larghe e busto imponente. Di sicuro non ci troviamo di fronte ai canoni di bellezza e sensualità veicolati dalla moda/pubblicità/società (seno in evidenza, vita sottile, braccia e gambe esili). Difficile veicolare un'immagine sensuale nella misura più banale e canonica, se mancano i requisiti di fondo. Decisamente fingo di non vedere gli scatti con il tricolore drappeggiato addosso: falle cantare Fratelli d'Italia e struggiamoci tutti nel più perfetto stile sentimental-patriottico-sportivo. Eppure esistono tanti tipi di sensualità: perchè puntare su quella più tradizionale? Se si sceglie di operare una rottura dei soliti schemi nella scelta del testimonial, tanto vale continuare fino in fondo. La Pellegrini è una nuotatrice, non una modella, e come tale andrebbe veicolata. Determinate pose, ammiccamenti, trucco e parrucco da femme fatale non le si addicono.Soprattutto in un momento in cui nient'altro può essere se non  un'atleta (vedi alla voce Olimpiadi di Londra). Lo sguardo languido e la bocca semichiusa lasciamoli a Gisele & co.

Altra nota dolente, forse la più grave, è la gestione della percezione del pubblico, con relativi commenti, circa la nuova testimonial. Archiviato lo scivolone del cancellare commenti e bannare relativi autori dai social network del marchio, Yamamay sceglie di dare democraticamente voce a tutti e rispondere ai commenti negativi. Tutti. Nello stesso identico modo. Questo:

Brand philosophy a manetta!

Un pò come un nastro registrato, o un adorabile pappagallino che ripete sempre la stessa solfa. Ma i social network non sono uno strumento unilaterale per veicolare informazioni, devono stabilire connessioni, tessere relazioni... ma voi vi mettereste a fare allegramente conversazione con una voce registrata? Da sempre i brand, soprattutto quelli che attraversano una fase di espansione internazionale, devono fare i conti con la necessità di essere facilmente raggiungibili dai consumatori: lasciare l'ambito freddo della contabilità, dei fatturati e diventare sempre più umani, reali e tangibili, come la signora del bar giù all'angolo, o la vostra migliore amica con cui fate incetta di culotte e brasiliani (lo so che lo fate, lo so :P). La solfa è la stessa: rispondere facendo riferimento alla propria brand philosophy. Sforzo encomiabile, ma non sufficiente. Almeno, se si cambiasse un pò la struttura, evitando il "copia-incolla", il consumatore si sentirebbe più partecipe e inserito in un contesto di comunicazione face-to-face.
Con un pc fastidiosamente in mezzo certo, ma questa è la dura legge del 2.0.
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