giovedì 29 marzo 2012

Spray up your necklace!

Bentornati alla fiera della creatività. Conscia che non avrei abbandonato così, senza combattere, la neonata sezione del DIY, eccomi qui a mostrarvi il mio secondo progetto. Lungi da me ingannarvi, spacciandolo come farina del mio sacco: l'idea parte infatti da Geneva, splendida fashion blogger di apair&aspare e redattrice della sezione DIY di Harper's BAZAAR Australia, che però non è proprio una fashion blogger... diciamo che è più una diyer blogger, una che con le sue abili e sapienti manine, per esempio, prende un semplice tessuto e ci ricava uno splendido abito lungo. Aggiungici che vive a Hong Kong, patria della merce più svariata a basso costo, e capisci come fa a reperire materiale cheap per trasformarlo in roba decisamente chic, il tutto senza dissanguarsi (che di questi tempi è tutto grasso che cola!) Capitata per caso sul suo blog, sono rimasta letteralmente folgorata da questa

DIY Neon collar necklace (via apairandaspare)
Una splendida collana giallo neon! Io adoro il giallo neon (anche se fa a pugni con la mia carnagione, chissene...) lavogliolavogliolavoglio...LA DEVO AVERE! Quindi, armata di tanta pazienza, creatività e buona volontà, mi sono procurata l'occorrente e ho iniziato il mio secondo progetto.

In un colorificio ho acquistato due bombolette di vernice acrilica spray (consiglio l'acrilico perchè va via con l'acetone, quindi, se combinate qualche disastro, potete sempre riparare), più difficile è stato procurarsi una collana adatta, soprattutto economica. Si perchè le solite collane da mercato non m'entusiasmavano e trovare un girocollo da poco si è rivelata essere un impresa. La mia scelta, quindi, è ricaduta su un pezzo non proprio economicissimo



Chocker della collezione di JLo in supersaldo a 70% da Coin...e menomale altrimenti mi sarei dissanguata! Un girocollo che mi è piaciuto da subito, però tutto quel metallo lo appesantiva troppo: un ottimo candidato per la mia customizzazione.


Ho disposto fuori all'aperto (per evitare intossicazioni e puzza di pittura perenne in casa) una serie di fogli di giornale, ho protetto con il nastro carta le maglie della collana che non volevo dipingere, un pò per non esagerare con il giallo, un pò perchè ho pensato che a lungo andare, con la frizione dei pezzi, la vernice sarebbe potuta andare via.


Ho spruzzato prima uno strato di vernice bianca, per fare una base chiara e omogenea in modo da far risaltare il giallo. La tecnica è quella indicata da tutti: movimenti dal basso verso l'alto e da sinistra a destra, ad una certa distanza, per evitare che il colore risulti non omogeneo e di conseguenza coli.


Ho aspettato un'ora circa, prima che la vernice fosse completamente asciutta, poi ho passato un secondo strato di vernice gialla (e intanto calava la sera...). Il risultato finale è questo


uno splendido choker (girocollo) giallo vivo, entrato di diritto tra le mie collane preferite, per tre semplici motivi: è colorato, è unico, ma soprattutto, l'ho fatto io!



mercoledì 28 marzo 2012

Per una Banana Dolce perse le staffe

Vi giuro che appena ho letto la notizia sono stata preda di risate compulsive. Non l'hanno presa  così sportivamente  Stefano Dolce e Domenico Gabbana. La coppia di stilisti ha infatti citato in giudizio presso l'alta corte del Capo Occidentale, la 60enne Mijou Beller, proprietaria di un negozio di gioielli e monili tribali in Sudafrica. L'accusa è di aver utilizzato impropriamente il marchio Dolce&Gabbana, facendosene beffa: questo perchè l'elegante signora ha pensato bene di chiamare il proprio gift shop "Dolce&Banana".

Una vecchia insegna del giftshop di Cape Town, oggi rinominato "...&Banana"

I fatti risalgono allo scorso Gennaio, quando, scoperto lo scherzoso plagio, i legali degli stilisti hanno convocato la proprietaria di fronte al giudice, obbligandola all'immediata modifica del marchio. Cosa che la signora ha prontamente effettuato, cambiando l'insegna in "...& Banana". Basta poco che ce vò? Tuttavia, le scaramucce legali sembra fossero iniziate già 6 anni fa, quando il marchio sinonimo del glamour Made in Italy nel mondo, si era già pronunciato contro la Beller, che d'altro canto, aveva risposto tramite il suo legale, specificando che Dolce&Gabbana non aveva alcun marchio registrato nel settore della gioielleria e che comunque non esisteva nessun negozio Dolce&Gabbana  in Sudafrica.

La proprietaria Mijou Beller all'interno del suo negozio (via iol.co.za.com)


Nonostante la vicenda, la signora, di origini francesi ma residente in Sudafrica da diversi anni, ha dichiarato che le sue intenzioni non erano affatto diffamatorie: la scelta del nome sembra fosse nata dall'intento di inventare "un nome glamorous con un tocco africano". E oltre alla sconfitta, la beffa: la compagnia pretende, infatti, che sia la stessa Beller a pagare le spese legali, per una cifra di 100.000 rand, pari a quasi 10.000 euro, una cifra irrisoria per un gruppo che ha un fatturato di 1.120 milioni di euro, ma non certo per una proprietaria di un giftshop.

E qui scatta la polemica, per una piccola imprenditrice che non ha le risorse economiche necessarie per affrontare una spesa simile. Al di là del mio evidente divertimento circa la notizia, resta tuttavia una considerazione seria da fare: la contraffazione di un marchio è effettivamente un reato e va perseguito, ma fin dove può spingersi il diritto che si può avanzare circa un marchio registrato? Non sono affatto pratica di procedure legali, tuttavia non posso fare a meno di notare una accanimento eccessivo verso una piccola imprenditrice, un pò come uno squalo tigre che se la prende con il pesciolino rosso. Non bastava semplicemente aver vinto la causa? E per quelli che pensano che la proprietaria di un piccolo negozio del Sudafrica sia l'ultima delle "furbette del quartierino", vi rimando al suo negozio online su Etsy, che vanta una serie di gioielli di gusto tribale, realizzati in materiali naturali e da artigiani del posto, a costi abbastanza contenuti. Roba che se mi fossi trovata in vacanza lì, li avrei acquistati ad occhi chiusi, a prescindere dal nome (che comunque continuo a trovare spassosissimo!).

Di tutta questa vicenda, non resta altro che la perplessità per un brand decisamente troppo giustizialista e un commento in particolare... questo

...anche io penso che Dolce&Banana sia un nome perfetto per una gelateria!



UPDATE: D di Repubblica arriva dopo il puparuolo! http://d.repubblica.it/argomenti/2012/04/02/foto/dolce_e_gabbana_causa-939694/1/#media

martedì 27 marzo 2012

Troppo giovani, magrissime e squattrinate

Un'immagine impietosa, quella che sembra uscir fuori dalle indiscrezioni a seguito delle Fashion Week appena giunte a conclusione. Non è tutto oro quello che luccica: oltre all'anoressia, alla droga, alle molestie sessuali e quant'altro minacci le giovanissime modelle che attraversano con la loro sinuosa falcata le passerelle delle capitali della moda, adesso ci si mette anche lo spettro dei debiti e dei mancati pagamenti.

Si, perchè non esistono solo le top model. E se mostri sacri come Giselle Bundchen, da tre anni in vetta alla classifica delle top più pagate del mondo, macinano guadagni di oltre 150 milioni di dollari, ecco che fanno capolino tutta una serie di semisconosciute e volti nuovi, modelle bambine, troppo giovani e inesperte per poter tutelare i proprio guadagni, spesso molto esigui.

La bomba è scoppiata grazie al sito jezebel.com, che ha diffuso e documentato l'esperienza di Hailey Hasbrook, 17enne studentessa dell'Oregon e volto nuovo della NY Fashion Week, che, a fronte di una collaborazione lavorativa con lo stilista Marc Jacobs, della durata complessiva di 30 ore, si è ritrovata a ricevere un pagamento "in natura", ossia un outfit completo, invece di un compenso in denaro. E se la modella alle prime armi, si è mostrata più che soddisfatta per il pagamento ricevuto, diversa è stata la reazione dell'opinione pubblica. Mentre, infatti, il Council of Fashion Designer of America, l'organizzazione che rappresenta e regolamenta le principali case di moda americane, ha sancito il divieto assoluto di far sfilare modelle al di sotto dei 14anni, mentre le under18 non possono lavorare oltre la mezzanotte, in difesa dei guadagni delle indossatrici si è mosso il Model Alliance, organizzazione no-profit nata per tutelare e sancire una categoria lavorativa che sembra essere non particolarmente tutelata dal sistema americano.

Ad attivarsi in questa direzione, sono proprio ex-modelle, reduci da esperienze decisamente negative: oltre al già citato Jezebel, di cui è redattrice Jenna Sauers, una breve esperienza di modella alle spalle e una storia di debiti accumulati con varie agenzie, figurano tutta una serie di protagoniste del patinato mondo della moda, che hanno scelto di denunciare quelli che sembrano essere malcostumi ormai consolidati nel fashion system. Così ad un Marc Jacobs, che risponde alle accuse con un laconico tweet dove dichiara: "Le modelle vengono pagate in abiti. Se non vogliono lavorare con noi, non sono obbligate a farlo.", fanno seguito le dichiarazioni di Sara Ziff e Caitriona Balfe, due mannequin che hanno visto sfumare i loro guadagni per un valore complessivo di 300.000 dollari.

A quanto pare a New York funziona così: una modella, per quanto patrocinata da un'agenzia, resta una lavoratrice freelance, a differenza di quanto viene regolamentato in Francia, dove le modelle sono impiegate a tutti gli effetti. Ciò comporta che, in caso di mancato pagamento da parte del committente, l'agenzia può rifiutarsi di pagare il dovuto alla modella. E se è invece, l'agenzia a non poter pagare, causa ad esempio bancarotta, la modella non vede comunque riconosciuti gli incarichi svolti e non ha diritto a ricevere il compenso, a meno che non riesca a dimostrare in tribunale di aver sfilato per tizio, o aver posato per uno shooting per caio, impresa ardua per una modella che ha accumulato diversi lavori nel tempo.

Una bella rogna, a cui si aggiunge l'aggravantedella dipendenza dall' agenzia stessa, splendida organizzazione che può permettere ad un volto nuovo tutta una serie di incarichi e ingaggi, trattendo però percentuali che vanno dal 20 fino al 70%. E non si sta parlando di piccoli barracuda in un mare di organizzazioni truffaldine, ma dei grandi squali che gestiscono i contratti delle top model; che arrivano, come nel caso di Jenna, a farle accumulare debiti, tra viaggio, vitto, alloggio, prove fotografiche e quant'altro, per un totale di oltre 5.000 dollari. Costringendola a perseverare in un'attività lavorativa di certo non remunerativa. Leggendo la sua testimonianza, si resta quantomeno scossi, da quanto esigui possano essere i compensi  delle grandi case di moda: 4 ore di lavoro per Issey Miyake per un totale di 215 euro, 8 ore di shooting fotografico a Parigi per un totale di 240 euro, foto di prova per una copertina di Glamour Italia (che non c'è mai stata) per 50 euro al giorno: se a questo si aggiunge il 70% di commissione che tratteneva l'agenzia Elite, si capisce come Jenna possa aver accumulato un così ingente debito. In confronto, il pagamento in abiti diventa un trattamento da nababbi.


Che si tratti di modelle americane, quindi, o di giovani stagisti inglesi che lavorano gratis in case di moda del calibro di Vivienne Westwood e Alexander Mc Queen, la storia sempre essere sempre la stessa: persiste la cattiva abitudine di sfruttare coloro che cercano di ritagliarsi una proprio spazio nel mondo della moda. Ed è triste pensare che queste giovanissime ragazze, si trovino nella condizione di dover fare i conti con un sistema che le vuole sempre più magre, sempre più attive e disponibili, e che pretenda anche di non pagarle. A questo punto, è davvero così appetibile una carriera da modella?

venerdì 23 marzo 2012

Fratelli (stilosi) d'Italia

Ci siamo quasi: ancora qualche mese di attesa, poi finalmente potrete dedicarvi alla vostra attività sportiva preferita, dare sfogo alla vostra rabbia agonistica, magari ripassandovi un pò l'inno d'Italia... davanti alla tv. Si, perchè è ufficialmente partito il countdown per Londra 2012, con il conseguente codazzo di spot e campagne pubblicitarie giusto per ricordarvi, casomai ve lo foste dimenticato, l'inizio dei giochi olimpici. E mentre atleti da ogni parte del mondo si stanno facendo una mazzo così per regalarvi grandi emozioni, ecco spuntare le prime presentazioni delle divise ufficiali.

Finiti i tempi in cui bastava una tuta in puro acrilico o un serissimo tailleur per presenziare degnamente la cerimonia d'apertura, gli olympic team sono ormai da anni impegnati nella ricerca di uno sponsor che sappia dare giusto risalto ai corpi statuari degli atleti olimpici, per la serie: il medagliere piange, ma almeno è griffatissimo. Così, dalle tradizionali sponsorizzazioni con i colossi dell'abbigliamento sportivo, si è passati alle collaborazioni con grandi stilisti.

E' il caso del team USA e Ralph Lauren: lo storico marchio, sinonimo del preppy in tutto il mondo, è infatti creatore ufficiale delle divise per la cerimonia di apertura e chiusura della squadra olimpica dal 2008. Le nuove divise per Londra 2012, presentate in anteprima ufficiale durante la New York Fashion Week, sono state salutate dal fashion establishment come un elegante omaggio ai giochi olimpici del 1948, con elementi presi dalla moda degli anni '30 e '40 e l'onnipresente giocatore di polo sul petto.

Ralph Lauren for USA Olympic Team London 2012 (via diarydirectory.blogspot.com)
Controversa la risposta della Gran Bretagna di fronte alle divise del team olimpico disegnate da Stella McCartney per Adidas. Alla presentazione ufficiale, tenutasi nello storico scenario della London Tower, hanno fatto seguito una serie di polemiche su Twitter per quella che è sembrata essere una divisa "troppo scozzese". Il motivo? L'aver sostituito al colore rosso della Union Jack che campeggia su canotte e maglie un più freddo turchese, relegando l'originario color rubino su colletti, calzini e scarpe. Per la serie "Non toccateci la bandiera, siamo inglesi". La stilista ha motivato la scelta partendo dal presupposto che la bandiera britannica fosse talmente un'immagine riconoscibile da consentirle di stravolgerla un pò e portarla fuori dalla sua comfort zone. Intanto il team inglese si è mostrato molto favorevole e ha dimostrato da subito di apprezzare il kit (...e te credo!)

Stella McCartney for Adidas for GB Olympic Team London 2012 (via Fashionista.com)
E mentre Cedella Marley, figlia della leggenda del reggae Bob Marley e designer di successo, si occuperà delle divise Puma per la squadra olimpica jamaicana, pensate per "essere come una seconda pelle" per gli atleti, la Repubblica dell'Azerbaijan, ricca regione caucasica situata tra Turchia  e Iran, si è rivolta all'italianissimo Ermanno Scermino per la divisa ufficiale della propria squadra olimpica, con la speranza di eccellere se non in prestazione atletica, almeno in eleganza.

Più che speranza, è garanzia di eleganza, l'accordo di sponsorizzazione tra lo stilista Giorgio Armani e il Coni. Gli atleti italiani che voleranno a Londra il prossimo 27 Luglio, vestiranno infatti stilosissime quanto segrete divise griffate EA7, linea di sportswear del gruppo Armani, attiva dal 2004 nella realizzazione di capi per lo sport eleganti e altamente performanti. Un bel colpo per re Giorgio: prima di lui, il marchio Freddy, che aveva vestito il team olimpico per i giochi di Pechino (Ricordate le tute simil-domopak color argento?) investendo circa il 15% del proprio fatturato in questa sponsorizzazione, ma garantendosi un ritorno d'immagine ingente e un aumento del fatturato nel 2009, di circa 56 milioni di euro in totale. E se la divisa ufficiale è ancora ammantata di mistero, non si può dire lo stesso della campagna pubblicitaria che verrà lanciata ad Aprile, dall'emblematico titolo "Sense of Being": sette scatti per sette discipline diverse, con atleti stranieri e italiani, resi in un iconico bianco e nero ed accompagnati da una frase che sintetizza la visione dello sport secondo EA7: etica e duro lavoro. In quest'ottica, la fatica, lo slancio agonistico, anche la sconfitta, tutta ha un senso: così Luca Dotto, argento ai campionanti del mondo di nuoto per i 50 metri stile libero, si tuffa in acqua mentre lo slogan recita: "Andare sotto per risalire sopra. Ha senso".

Ea7 Campaign for Olympic Games London 2012 (via Telegraph.uk)

Tanta carne a cuocere, quindi, per i big brand della moda, che non perdono occasione per reiventarsi ed uscire fuori dalla solita cerchia delle fashion victim: nonostante internet, il 2.0, l'e-commerce ed i social network, la sponsorizzazione resta una delle strategie più praticate e che, alla lunga, si rivelano essere vincenti. Dalle passerelle agli anelli di uno stadio il passo è breve, soprattutto se a farlo è un campione olimpico.

giovedì 15 marzo 2012

Creativi in erba all'attenti: al via il concorso dell'AIE

Non si vive di paillettes, questo è un dato di fatto. Così come la consapevolezza che una mente creativa e allenata vi possono portare più lontano di un bel visino e un fisico da urlo. E' per questo motivo che sono smaniosa di mettervi a corrente di un nuovo concorso bandito dall' Associazione Italiana Editori: il progetto e'-book.
Il concorso è riservato agli studenti universitari di tutte le facoltà e livelli (biennio, triennale, master, specialistica, momentaneamenti fermi ma in regola con l'iscrizione ecc...) che vogliano cimentarsi con l'ideazione di uno slogan promozionale per una collana di ebook universitari. Lo slogan deve avere una lunghezza massima di 50 caratteri e può essere realizzato in italiano, inglese, francese, tedesco o spagnolo. Per partecipare, andate sul sito www.aie.it dal 15 Marzo e compilate un questionario sull' uso delle tecnologie nello studio; terminate le scartoffie burocratiche, concentratevi per bene, ideate uno slogan d'effetto, e caricatelo assieme al vostro nominativo e alla vostra mail.


La deadline è  prevista per il 23 Aprile, in coincidenza con la Giornata Mondiale del Libro: una giuria di editori ed esperti valuterà gli elaborati ed eleggerà i 10 studenti vincitori, di cui 1 straniero, che verranno premiati durante una cerimonia che si terrà il 23 Maggio a Roma.


I premi in palio sono 10 buoni del valore di 1.000 euro ciascuno in libri ed e-book, spendibili in qualsiasi libreria italiana, anche online. I diritti d'autore dello slogan resteranno di proprietà degli studenti (così vengono tutelati, questi copywriter in erba!).


Affilate le vostre matite, quindi, sgranchitevi le dita, aprite i vostri notebook oppure preparate carta e penna, se siete amanti del vintage... come direbbe il compianto Steve Jobs: "Stay hungry, stay foolish" voi aggiungeteci pure "Stay creative"!


info at www.aie.it

mercoledì 14 marzo 2012

DIY: perchè se ce la faccio io, puoi farcela anche tu!

Titolo accattivante, ne convengo, ma non per questo meno veritiero. Si, perchè io sono la dimostrazione in carne ed ossa che il DIY (Do It Yourself, per noi divoratori di maccheroni Fai Da Te) è davvero alla portata di tutti. Ho scelto quindi di aprire l'ennesima rubrica di questo blog, con la speranza di non abbandonarla nel giro di 5 giorni e 1/2 (la mezza giornata è di riflessione sul da farsi), presentandomi il mio primo in assoluto progetto DIY (applausi prego, le mie dita sono ancora tutte appiccicaticce di colla, apprezzate almeno lo sforzo!). Con pochi semplici step e le dita sporche di colla potrete realizzare degli inutili ma coloratissimi e comodissimi porta-dischetti di cotone!

Per il progetto vi serviranno i seguenti materiali:

- vasetto/contenitore in qualsiasi materiale (plastica, legno, vetro, cartone); nel mio caso ho riciclato un vecchio contenitore in legno di una candela di citronella, ho eliminato la cera rimasta all'interno, lavato e pulito ben bene.


- colla vinilica e pennello; è preferibile che il pennello non sia di buona qualità, visto che le setole tenderanno ad incollarsi e rovinarsi (a meno che non usiate l'acqua ragia poi per pulirlo, e anche su questo non posso darvi alcuna certezza).


- gomitoli di lana in diversi colori.


- forbici (a meno che non siate abituate a tranciare cavi con i denti, ma questa è un altra storia).




Ok, iniziamo (Mucciaccia e Art Attack mi fanno un baffo!)



Con il pennello, passate uno strato di colla vinilica sul vasetto; non distribuite la colla su una zona ampia altrimenti tenderà a seccarsi e sarà necessario un'altra passata, rendendo così il lavoro molto più disordinato. Lavorate per zone, dal basso verso l'alto.




Iniziate ad avvolgere il filo di lana sulla zona dove avete passato la colla, prestando attenzione a non lasciare alcuno spazio tra un filo e l'altro e senza sovrapporli. Proseguite verso l'alto fino ad un altezza stabilita.




Tagliate il filo e assicuratelo sul retro con una buona dose di colla. Iniziate ad avvolgere nello stesso punto con un filo di colore diverso e proseguite così per tutto il contenitore. Date libero sfogo alla vostra creatività, usate tutti i colori e i fili a vostra disposizione e mixateli a piacimento.
Alla fine, il risultato sarà più o meno questo:




Uno splendido porta-dischetti di cotone, pronti all'uso per le vostre sessioni di struccaggio! E visto che il wrapping è diventata quasi un ossessione per me, ecco qui un ulteriore evoluzione del progetto



porta-dischetti di cotone e porta-cotton fioc (ottenuto da un vasettino di plastica) : un delizioso set per abbellire il vostro triste e grigio bagno.


Facile, veloce, economico e all'insegna del riciclo...perchè di questi tempi signora mia, non si butta via niente!

lunedì 12 marzo 2012

My MARNIatHM experience!

Ebbene si...l'avevo detto no? E l'ho fatto...giuro che l'ho fatto... ho predisposto mente, corpo e spirito per la collezione Marni for H&M. Questo ha significato nello specifico:
STEP 1) alzarsi ad un ora antelucana con gli occhi ancora semi-chiusi, la testa annebbiata, i capelli stile nido di rondini per poter passare di filato allo step 2;
STEP 2) recarsi presso la dimora della suddetta amica malcapitata che si è caritatevolmente (creatura ignara) offerta per accompagnarmi presso lo store H&M più vicino che partecipa all'iniziativa (nello specifico: Napoli, Via Roma);
STEP 3) sorbirsi il traffico mattutino in direzione Napoli, con annessi rischi tamponamenti e/o esaurimento del conducente (nello specifico: IO!!);
STEP 4) trovare parcheggio (e lì veramente ho dato fondo ad ogni energia rimasta e ho ripiegato su un comodo quanto carissimo garage ad ore!).
RISULTATO: invece dell'orario previsto d'ingresso (più o meno intorno alle 9.30) ci siamo ritrovate a varcare la soglia del negozio, assieme ad agguerrite fashion victim, intorno alle 10.30. Dopo un breve giro di ricognizione, sbirciando un pò l'area apposita riservata alla capsule collection, un pò la vetrina dove erano esposti i capi, ho elaborato due brevissime riflessioni, nello specifico "Non c'è tantissima gente!" e "Ci credo, che delusione!". Si, delusione: delusione per i prezzi (che avevo già sbirciato sul sito, ma anche su quello americano e c'è un gap enorme, per la serie le americane se la passano meglio, prezzi medi molto più bassi, valli a capì 'sti svedesi filo-americani!) e delusione per i capi in sè, qualitativamente non rendevano, soprattutto la mia agognata giacca a maxi pois blu, che ad un esame più ravvicinato si è rivelato un accozzaglia di cotone e panno, fortemente a rischio pallini&pelucchi, l'accoppiata che ammazzerebbe qualsiasi capo, rendendolo uno straccetto da quattro soldi! (e io 100 euro non li sborso per una giacca che poi fa questa fine!).


Nonostante la delusione a primo impatto, io e la caritatevole accompagnatrice decidiamo di conquistarci il nostro braccialetto d'ingresso: colore blu, orario di ingresso 12.50. E che si fa per far passare il tempo? Mentre ragazze agguerrite stazionano sulle scale innanzi al reparto, decidiamo di uscire e fare un giro nei dintorni (giro che si è rivelato davvero proficuo ma questa è un'altra storia).


Dopo una brioche (si perchè l'accompagnatrice la dovevo pur allettare in qualche modo!) ritorniamo per le 12.40 e un inquietante annuncio ci gela: "Braccialetto rosso esce dal ring! Braccialetto blu entra nel ring!" Braccialetto blu? Ma noi abbiamo un braccialetto blu...che significa? Che dobbiamo batterci contro altre girl per avere la nostra dose di Marni quotidiana? Ma io non sono pronta! Non sono abbastanza cattiva e agguerrita! Volevo solo dare un'occhiata!Cosa ne sapevo che si finiva così?


Scontri efferati per accaparrarsi un straccetto MarniforH&M
Nulla di tutto questo, eravamo tra persone ABBASTANZA civili... talmente civili da aver solo lanciato delle occhiatacce a noi che, con il suddetto braccialetto, saltavamo la fila, senza bisbigliare nessun commento del tipo: "Inaudito! Non erano neanche in fila ad aspettare! Loro non se lo meritano!!!"


Comunque tempo 5 minuti di orologio ed io e la mia accompagnatrice eravamo già fuori. Nell'ordine ho valutato l'acquisto di:
- Pantaloncini ampi a fantasia, ma non c'era la mia taglia.
- Camicia-come-quella-del-pigiama ma 99 euro per un pigiama non ce li riesco proprio a spendere.
- La suddetta giacchina di cui sopra (vedi immagine dimostrativa, per gentile concessione di @Laibi on Instagram)


Vedi a fare 'sti proclami???Mai, mai palesare le proprie intenzioni!
l'unica cosa che avevo davvero puntato...non c'era la mia taglia, naturalmente, solo una striminzita 34, tuttavia avrei passato la mattinata a struggermi circa l'eventualità di acquistarla o meno: prezzo alto, ruvida al tatto, rischio pelucchi, però ammetto che aveva davvero un ottimo taglio.


La cosa più bella di quest'esperienza è stato vedere la mia accompagnatrice che girava nel ring con aria annoiata, guardandosi intorno con noncuranza ed esclamando:" Ma non c'è una scollatura! Sono tutti ampi! E io che ci faccio con 'ste tende?". Ebbene, già so, tranquilli: so che pende dalle vostre labbrucce l'amletico quesito che smaniate rivolgermi... cosa ci sono andata a fare? Come adoro pensare ultimamente, non si vive di solo tessuto e quindi benvenuti bijoux, che, per amor di verità, avevo già adocchiato nelle prime immagini pubblicate da H&M (guardate qui, puparuoli sospettosi). Ecco quindi i risultati del mio arraffo:


Collana fiori di pesco (rigorosamente fake e di plastica, ma quanto so'bbelli!!!) e braccial(on)i multicolor... bellissimi e degni dell'acquisto. E visto che mi sento in vena, vi tocca pure una foto della suddetta che indossa il frutto delle sue fatiche shopaholiche


Espressione trionfa ed altera di chi sa di aver fatto l'acquisto giusto!
Il sorriso mi è sparito sulle labbra giusto Venerdì sera, quando mostrando orgogliosa al collo il frutto della mia spedizione partenopea, ho dovuto confermare che no, la collana non sembrava un'accozzaglia di gusci di vongole appese e/o una serie di portalampadine.
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