mercoledì 4 luglio 2012

Facciamoci una cultura di moda: le mostre da non perdere in giro per il mondo


Io lo so, non precipitatevi a smentirmi. So che con la testa siete già lì che pensate alle tante agognate e sospirate vacanze. Non importa che abbiate l’ultimo esame della sessione il 29 Luglio, o che il capo vi abbia chiesto di rimanere in ufficio fino al 13 Agosto, c’è un unico pensiero che occupa le vostre testoline snervate dal caldo insostenibile: VACANZA! VACANZA! E visto che lo so, ho stilato questa utilissima guida per tutti coloro che (beati loro) hanno già prenotato per le più belle città europee e del mondo (ma tranquilli, ho pensato anche a chi resta in Italia), alla ricerca delle mostre più fashion e gettonate: perché mica possiamo passare le nostre giornate inermi al sole stile otaria spiaggiata… ehi tu bimbo, tirami un altro po’ di sabbia addosso e tua madre dovrà rivolgersi ad una squadra di sommozzatori per ritrovarti… ehm, dicevamo?



“UN BIGLIETTO PER IL SOGNO AMERICANO, GRAZIE!”
Quando penso a grandi esposizioni, spesso assurde, la testa va lì, a quelle tre semplici lettere: U.S.A. E’ a New York, infatti, la mostra più celebrata e osannata del momento, la cui inaugurazione ha permesso lo sfoggio di mise improbabili da parte delle invitate un chiacchiericcio stile casalinga di Voghera tra due stiliste. Schiaparelli and Prada: impossibile conversation è sicuramente la mostra più attesa e desiderata dalle affamate di moda, un confronto tra due donne e due stili molto diversi, attraverso  sette tematiche che in qualche modo hanno influito sull’operato delle due stiliste. Il titolo si ispira alle Impossible Interview di Miguel Covarrubia per Vanity Fair durante gli anni Trenta. E io che da piccola animavo e davo voce a ritagli di carta ero invece una povera pazza. Vabbè. In mostra al Metropolitan Museum fino al 10 Agosto.

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La vera conversazione impossibile secondo stiletto&puparuoli

Se la vostra meta è invece la West Coast, non potete perdervi la carta protagonista della mostra presso la Mansion Hillwood a Washington. Pret-à-papier è la dimostrazione di come l’illusione possa essere più vera del vero: così la carta stropicciata, tagliata, assemblata e dipinta possa trasformarsi in splendidi abiti e pizzi, riproduzioni fedeli della moda dal tardo 17esimo secolo fino al primo Novecento. Tutto merito dell’estro e dell’abilità di sforbiciatrice dell’artista belga Isabelle de Borchgrave. Altro che art-attack. In mostra fino al 30 Dicembre.
Non seta, non cotone, non mussolina ma semplice carta
E restando sempre sul versante occidentale, una vera chicca al museo de Young di San Francisco: una esposizione tutta incentrata sull’enfant terrible della moda, Jean Paul Gaultier. 140 abiti tra pret-à-porter e haute couture, più bozzetti, foto d’archivio e videoclip, questo e altro nella mostra The Fashion World of Jean Paul Gaultier: from the Sidewalk to theCatwalk, che racchiude gli oltre quarant’anni di attività del prolifico stilista. Dettaglio hot: la mostra contiene temi adulti. Poi, dopo la mostra, andate a salutare i leoni marini che si sbracano al sole al molo, noterete delle somiglianze con i vostri vicini d’ombrellone. In mostra fino al 19 Agosto.

Manichini elegantissimi a Los Angeles

Andate di qualche centinaio di chilometri più a sud, invece,e ammettete la vostra fascinazione per lo star system, Los Angeles vi aspetta. Herb Ritts: L.A. Style è il giusto omaggio per il fotografo che durante gli anni Ottanta, trasformò semplici celebrità in icone e rivoluzionò la fotografia di moda. Divisa in tre temi, Moda, Nudo e Ritratti di celebrità, l’esposizione celebra al meglio il talento e la visione creativa del fotografo, sempre sul filo tra arte e commerciale. E dopo un bel giro agli Universal Studios, c’è il figurante travestito da Norman Bates che vi aspetta, per inquietarvi un po’. In mostra al Getty Center fino al 26 Agosto.

La pantera con gli stivali Naomi Campbell
Infine, aspettatevi l’inaspettabile. Siete lì bloccate a Denver in Colorado, per uno strano dirottamento aereo ad opera di improvvisati e incapaci terroristi, ed ecco cosa potete trovare: tre semplici lettere, YSL (si tre, perché io sto maledetto restyling non lo comprendo e non lo accetto!). YvesSaint Laurent: The Retrospective è una selezione di oltre 200 abiti di haute couture, unite a foto, bozzetti e film che illustrano lo sviluppo dello stile dell’allievo di Christian Dior, dagli inizi fino al successo sulle passerelle internazionali. E io che pensavo che in Colorado ci ambientassero solo dubbie serie tv con medici cowboy (vedi alla voce Everwood). In mostra al Denver Art Museum fino all’8 Luglio.

Questa si che è una Y che conta


“LONDON CALLING? E IO RISPONDO!”
Nel Regno Unito ultimamente sembra non si riesca a pensare altro che a due cose: il Giubileo di quella vecchia carampana della regina e le Olimpiadi 2012. Se non appartenete alla categoria monarchici/sportivi ad oltranza, eccovi una selezione di mostre assolutamente da non perdere, così mentre il vostro boyfriend sta lì ad urlare come un ossesso al villaggio olimpico, voi potrete dedicarvi al più sottile e culturale dei piaceri: sbavare di fronte a dei capolavori di alta sartoria. Rimanendo in tema sport, a Bath, oltre all’acqua verdognola delle terme romane, vi aspetta la mostra Sport and Fashion, un percorso storico attraverso l’abbigliamento sportivo dall’Ottocento fino ai giorni nostri e attraverso le interconnessioni che caratterizzano da sempre moda e sport. Oltre i cerchi olimpici c’è di più. In mostra al Fashion Museum per tutto il 2012.

Per un Olimpiade all'insegna dello stile

Dalle sneaker alle sete più preziose il passo è breve, soprattutto nella capitale. Quindi preparate la macchina fotografica e recatevi al Victoria and Albert Museum: visitatelo, tutto (ne vale la pena). Poi godetevi Ballgowns: British Glamour since 1950, un godurioso tour attraverso gli abiti più belli e più preziosi della moda inglese negli ultimi sessanta anni. Abiti per occasioni formali, feste private, cerimonie d’apertura, inaugurazioni e balli regali, disegnati da stilisti come Alexander Mc Queen, Hussein Chalayan, Gareth Pugh. Piccole chicche: abiti ufficiali indossati dalla regina madre e da lady Diana. In mostra fino al 6 Gennaio 2013.

E io vado da Zara a comprare abiti per le grandi occasioni...

Un outfit non è del tutto completo senza un paio di scarpe adeguato. E quali se non le scarpe dalla famosissima e copiatissima suola rosso-lacca? Il Design Museum vi aspetta con Christian Louboutin, un archivio completo di oltre venti anni di attività del celebre shoe designer. Sneaker borchiate, pump vertiginosi e sandali gioiello, chi lo dice che i diamanti sono i migliori amici delle donne? Magari, dopo questa visita, il vostro boy capirà davvero cosa regalarvi per il vostro compleanno (vi invidio, sappiatelo). In mostra fino al 9 Luglio.

Shoes are really girl's best friends! 


“PARIS, JE SUIS ICI!” (grazie Google translate!)
Ecco, qui davvero non dovrei dirvi niente. Santiddio, siete a Parigi! Mica in una capitale qualsiasi! Già vi vedo a passeggiare pigramente sugli Champs Elysées… basta! Sveglia! Ingurgitate l’ultimo pezzo di crepes rimasta e date il via al vostro itinerario fashion-culturale. Prima tappa: Les Arts Décoratifs, dove c’è LA mostra per eccellenza. Cosa hanno in comune due uomini come Marc Jacobs e Louis Vuitton? A parte il baffetto sexy, l’aver rivoluzionato completamente i costumi dei loro tempi, uno siglando il suo monogramma nella storia, l’altro rielaborando, modificando, svecchiando quello stesso monogramma, simbolo di eleganza nel mondo. Poche storie, LouisVuitton Marc Jacobs, due mondi, un'unica esposizione da non perdere. In mostra fino al 16 Settembre.

Borse come cioccolatini: no, allora io sono bulimica!

E se lo stile francese proprio non vi aggrada, battete i tacchi e gridate olè! Per voi, presso gli spazi espositivi della Cité de la mode et du design, una retrospettiva completa sullo stilista spagnolo Cristobal Balenciaga, con oltre quaranta capi, tra abiti, cappotti e oggetti d’antichità della sua collezione privata. The world of Cristobal Balenciaga è un percorso storico dell’attività dello stilista dal 1937 al 1968, un doveroso omaggio al più grande dei maestri della haute couture. In mostra fino al 7 Ottobre.

Piccole tapas di stile

Infine, per tutti gli amanti della terra del Sol Levante, la fondazione Pierre Bergè- Yves Saint Laurent dedica un intera rassegna ad un’antica e tradizionale arte giapponese: il teatro kabuki. Kabuki-Japanese theatre costumes mostra tutta la magia e la delicatezza dell’antico teatro giapponese, nato intorno al 17esimo secolo, dove attori rigorosamente uomini recitano anche parti femminili. Una ricca collezione di kimono, accessori di scena, fotografie e incisioni. Mi raccomando, all’ingresso gridate “konnichiwa!” (non è una parolaccia, giuro). In mostra fino al 15 Luglio.

Oh si, fammi essere la tua geisha parigina!


“PUPARUOLO VS RESTO DEL MONDO”
Giappone: a Tokyo, trent’anni di creatività made in Japan in Future Beauty: 30 years of Japanese Fashion, per le amanti di Kenzo, Issey Miyake e Rei Kawakubo. In mostra fino al 8 Ottobre.
Lituania: a Vilnius in mostra una collezione privata di eccezionale rarità. From mini to maxi. Fashion from 1960s è una panoramica sui più bei abiti di stilisti come Nina Ricci, Chanel, Dior, Balmain, uniti a creazioni innovative come la mini di Mary Quant e allo stile cosmico di Cardin e Courréges. In mostra fino al 2 Novembre.
Stati Uniti (aridaje!): a Milwaukee, in Wisconsin, un nome, un programma. Worn to be wild è l’esposizione per eccellenza di un capo-culto per una generazione di bad boys: la giacca di pelle. Rigorosamente nera, e poi borchiata, lavorata, assemblata. In mostra all’Harley-Davidson  Museum fino al 3 Settembre.

Italia: a Firenze, presso il Museo Ferragamo, la mostra Marilyn, omaggio alla finta bionda-svampita della storia del cinema. Foto, video, abiti e soprattutto scarpe per ricordare e omaggiare il mito intramontabile della fragile diva americana. In mostra fino al 28 Gennaio 2013.

Fiu… basta, finito. Direi che mi sono fatta perdonare la mia lunga assenza.

venerdì 22 giugno 2012

Ristrutturazioni scomode: YSL diventa SL


Il restyling, si sa, è un’arte difficile. E la resistenza al cambiamento è forse una delle forze più difficili da vincere. Tuttavia certi cambiamenti, certi restyling appunto, mi lasciano alquanto perplessa. Così quando, prima una semplice voce di corridoio poi notizia certa e confermata dal Women's Wear Daily, ho letto dei cambiamenti di Hedi Slimane al marchio Yves Saint Laurent, non ho potuto fare a meno di pormi un unico interrogativo: Perché ? (Ndp -note del puparuolo- la suddetta domanda va posta ad alta voce, con un tono enfatico e drammatico, aprendo le braccia e roteando con consumata abilità gli occhi al cielo)
La decisione è questa: dalla prossima collezione autunno/inverno 2012-2013 il marchio nato dal genio dell’enfant prodige algerino non si chiamerà più Yves Saint Laurent, bensì Saint Laurent Paris, un omaggio secondo Slimane al nome originario del pret-a-porter della maison, Saint Laurent Rive Gauche. Tuttavia il nome dell’azienda resta lo stesso, così come il monogramma YSL inventato nel 1961. Da qui mi ripongo un unico interrogativo: Perché? (Ndp idem come sopra).
Sì perchè davvero non lo capisco. Che senso ha smontare un nome e un marchio che possiede un heritage di tutto rispetto e, soprattutto, così intimamente legato al suo fondatore, quell’Yves che a quanto pare infastidisce così tanto il nuovo direttore creativo della maison? Davvero una Y mancante può fare la differenza?
Concordo di sicuro con il tweet buttato lì da Paola Bottelli, un tentativo di enfatizzare l’aspetto più parisienne del marchio per allettare la voglia degli asiatici di comprare moda francese, tuttavia le recenti cronache ci insegnano che l’eredità del passato è forse la risorsa più preziosa per un’azienda di moda. Due esempi su tutti: Della Valle che rilancia il marchio Schiapparelli (e ci fa ruotare tutto intorno una serie di mostre e celebrazioni DECISAMENTE CASUALI) e Marzotto and friends con il marchio Vionnet, da start-up ad azienda di tutto rispetto nel panorama del lusso e dell’eleganza. Due esempi di come l’imprenditoria possa far leva su valori come la tradizione e l’eredità del passato e soprattutto guadagnarci (sono anche esempi di come il puparuolo sappia scrivere benissimo anche di fashion business, proprio qui).
I dati poi sembrano confermare tale ipotesi, con un aumento del fatturato del 32,3%, grazie soprattutto allo slancio nei nuovi mercati; tuttavia briciole in confronto a Gucci e Bottega Veneta, luxury brand della Ppr, la conglomerata francese cui fa parte il marchio Yves Saint Laurent, che insieme garantiscono il 60% dei ricavi . Un confronto davvero stridente. Da qui probabilmente l’urgenza di rinnovarsi e di incrementare l’appeal sui nuovi consumatori, poco inclini alla storia della moda e molto influenzabili da una politica di marchio rafforzata.
E in tutto questo, c’è il placido benestare di Pierre Bergè, partner commerciale e nella vita del compianto Yves, che sembra appoggiare ogni decisione del nuovo direttore artistico, da iniziali indigeste, a presentazioni di collezioni blindatissime e solo per buyer, alla scelta di spostare lo studio creativo da Parigi a Los Angeles, dove vive lo stilista… magari Slimane soffre il clima bizzoso parigino, chi lo sa.
Per me, tuttavia, quella Y non è una iniziale trascurabile, rappresenta un mondo, uno stile e una creatività che ha fatto la storia del costume occidentale e ha fornito, a tutti coloro che sognano di fare moda, la cosa più importante: un maestro.
Perché se c’è qualcuno che ha mostrato come arte e moda possano essere realmente collegate, questo è lui.

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Yves Saint Laurent autunno/inverno 1965-1966

E se abbiano imparato il fascino di un rigoroso smoking che avvolge un corpo femminile, molto più cerebrale e interessante di una nudità ostentata, è sempre grazie a lui.

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Yves Saint Laurent tuxedo 1966


Infine se ci siamo lasciate tentare dall’irrefrenabile voglia di un tè nel deserto, avvolte nella nostra sahariana d’ordinanza, dobbiamo prendercela con lui (e con le sue origini algerine, of course)

Yves Saint Laurent sahariana 1969



Probabilmente sarà per questo che quella Y mancante a me non va proprio giù.

martedì 15 maggio 2012

MET ball 2012 Fashion Review

Quanto adoro gli eventi mondani made in USA. Davvero li adoro oltre ogni limite. Ogni volta che vedo gli abiti della serata in questione, mi schianto dalle risate, sul serio. Quando poi, il galà lo tengono al Metropolitan Museum e quindi le decisioni sull'outfit perfetto vengono ammantate da assurde pretese pseudo-artistiche, ed in più si omaggiano due stiliste italianissime e molto creative (a volte discutibili) come Miuccia Prada e Elsa Schiaparelli... diciamo che mi sono piazzata davanti al pc e sfregata le mani per benino, aspettandomi il peggio. E direi che le mie aspettative non sono state tradite. Naturalmente c'è stato un tripudio di Prada, indossato più o meno bene, e tantissime mise che, sinceramente, avrei preferito non vedere. Questo mi costerà 15 anni di psicoterapia, già lo so.

the little(?) black dress
Cate Blanchette in Alexander Mc Queen VS Reneè Zellweger in Emilio Pucci (queste immagini e le successive sono tutte via Zimbio.com e via Fashionista.com
La classica sindrome dell' "oddio non so proprio cosa mettermi.." risolta con l'egregio petite robe noire secondo i dettami di nostra signora santissima Coco Chanel... si, peccato che qui di petite non ci sia proprio un bel nulla. Tripudio di piume firmato Alexander Mc Queen per Cate Blanchette, seguita a ruota da Reneè... ammetto tuttavia che nell'anteprima della foto, il suo dress firmato Emilio Pucci mi aveva conquistato, con quella scollatura invereconda sulla schiena. Poi ho scoperto la coda di piume e adieu, fine dell'innamoramento. Capisco che quando si sceglie il total black, è buona norma puntare su una certa preziosità dei materiali, ma somigliare ad una gallina faraona non è davvero il massimo. Le piume è meglio lasciarle alle flapper girl degli anni Venti.



Rihanna in Tom Ford VS MaryKate Olsen in DIYdress
Stessa scelta cromatica ma risultati decisamente opposti per la diva made in Barbados e la gemellina fashion (quale delle due sia, sinceramente non lo so: per me sono perfettamente uguali, indistinguibili e ugualmente inutili). Rihanna in Tom Ford è un lussuosissimo rettile, ricorda tanto una Kelly di Hermes in coccodrillo: preziosa, bellissima e finalmente con un colore di capelli umano. La schiena scoperta (fidatevi: non la vedete ma c'è) aggiunge  un tocco sexy e se c'è qualcuna che può giocare a fare la diva sensuale senza essere volgare è proprio lei. MaryKate Olsen: ecco, avrei voluto evitare. Ma dico io, sei una prezzemolina ex-bimba prodigio, avrai una diamine di stylist o comunque contatti con migliaia di pr di case di moda, che bisogno c'è di mettersi a giocare a Gira la moda e a fare la starlette creativa proprio ad un evento del genere? Mentre vengono celebrate due donne che ne capiscono giusto due cosette in più di te di moda? Spiacente Mariuccia, hai cannato completamente: l'abito non ti rende giustizia, opulento e monacale quanto basta e no, gli occhi da spiritata davvero non ti aiutano. Come ho avuto modo di parlare anche qui, fare le piccole sartine in occasioni di eventi mondani non paga mai.


Color block: ossia colori abbinati a c...aso

Coco Rocha in Givenchy (vintage) VS Kristen Stewart in Balenciaga
Giuro che non sono fotomontaggi. Non ho preso foto a caso e piazzate sul red carpet. No, queste due scellerate si sono veramente presentate così sul red carpet. Coco Rocha sfoggia orgogliosissima il suo ultimo acquisto ad un'asta: un Givenchy vintage appartenuto niente popò di meno che a Liz Taylor, con tanto di macchia di vino annessa (non la vedete perchè Coco la nasconde con la sua extention color coda di mio mini pony). Magari se la prossima volta comprasse angioletti di porcellana saremmo tutti più contenti. Non dico che il completo sia brutto.. però per un red carpet? Parliamone. Con quei ciuffetti rosa shocking in pendant poi (che abbia seguito le direttive della Wintour, che pare abbia ordinato a tutti i redattori di Vogue di vestirsi in rosa, oppure è un semplice omaggio al colore creato dalla Schiaparelli?). Nessuna scusa per Kristen Stewart: che sia una sciattona si era già capito da tempo. Che avesse voglia di dimostarlo al mondo intero, è un altro paio di maniche. Io vorrei sapere chi diavolo è lo stylist che l'ha vestita. Manco mia nipote di 6 anni veste così male le sue Barbie. Un mix and match impietoso firmato Balenciaga, con una pencil skirt che non le dona per niente, tralasciando le scarpe insensate e i capelli stile "se ci infili un pettine, resta lì". Oddio mi ci vuole una camomilla, adesso.


Bianco puro (eppure...)
Claire Danes in J. Mendel VS Elizabeth Banks in Mary Katranzou
Altra scelta a colpo sicuro per il red carpet: bianco, in ogni sua sfumatura. Avrà sicuramente pensato a questo Claire Danes in J.Mendel, puntando su un abito di sicuro effetto, bianco, scollatura profonda quanto basta, a metà tra il peplo greco e l'abito stile vecchia Hollywood. La cotonatura conferma l'intento dell'attrice di andare a segno e non rischiare, però con questo biondo sembra davvero lontana dai tempi di Romeo+Juliet. Vuole osare a tutti costi, invece, Elizabeth Banks in Mary Katranzou: peplum dress, come chiamano gli anglosassoni questi bizzarri vestiti lunghi con gonnellino annesso (che io odio decisamente, con tutto il cuore, sarà che mi ricordano troppo i fasti bizzarri degli anni Ottanta), in fantasia optical su fondo bianco in satin lucido, con fascia rossa stringi vita sempre in satin lucido, e mantellina. Basta così Elly? O volevi aggiungere qualcos'altro al tuo outfit?


Sistas fight

Beyonce Knowles in Givenchy VS Solange Knowles in Rachel Roy
Scontro tra sorelle sul red carpet: una Beyonce in ritardo ma per nulla trafelata sale con la sua inconfondibile falcata la scalinata del Metropolitan in un fasciante Givenchy con trasparenze, ricami e strascico di piume bicolore annesso: ecco come rimettersi in forma dopo una gravidanza e dimostrarlo a tutti. L'abito non lascia davvero spazio all'immaginazione e ,Dio solo sa quanto mi costa ammetterlo visto che adoro questa donna, Beyonce dimostra di aver scambiato il galà per una serata al Moulin Rouge. Ma visti gli esempi di sopra, è decisamente in ottima compagnia. Più sobria e colorful la sorellina Solange, anche lei in peplum dress firmato Rachel Roy, almeno senza l'aggravante del gonnellino ampio e con sbuffo. Nell'insieme il vestito mi è piaciuto davvero, e lei è una che, come Rihanna, può permettersi tutto, anche la testa stile afro. Il colore pieno poi, è una scelta azzeccata, originale e non eccessiva: chissenefre se poi l'hanno soprannominata "yellow mellow".


Le strascicate
Cameron Diaz in Stella Mc Cartney VS Nina Dobrev in Donna Karan
Non mi riferisco ad un loro peculiare incedere sul red carpet, ma alla scelta di una particolare caratteristica dell'abito: lo strascico. Color champagne e discretissima coda per Cameron Diaz, splendida nel suo opulento abito firmato Stella Mc Cartney, castigato e luminoso con maniche ampie sul fondo, che le dona un'aria da gran signora. Peccato per il ciuffone che rievoca le gag di Tutti pazzi per Mary (non devo star qui a ricordarvi come si modellava il ciuffo, nevvero?). Nina Dobrev, l'umana contesa tra i fratelli vampiri di The Vampire Diares, sceglie un modestissimo abitino Donna Karan, con strascico che ricorda le nozze reali. Poverino l'accompagnatore, impegnato in una cruenta lotta per non pestarle la coda. Decisamente no.


Red passion
Hilary Swank in Michael Kors VS Jaime King in Topshop
Effetto camaleonte per le prossime celebs. Rosso su rosso e si spera di evitare l'effetto tappezzeria (in tutti i sensi). Scelta felice per Hilary Swank, in Michael Kors rosso cupo, in armonia con incarnato e colore di capelli. Effetto diva e soprattutto w la sobrietà, che di questi tempi davvero sembra sia una dote decisamente sottovalutata. E poi con spalle e braccia come le sue (ricordo di un Million Dollar Baby da Oscar) se non mette lei abiti all'americana, allora possiamo pure bruciarli tutti. Jaime King tenta la carta della tipa alternativa: lei no, non si affida a grandi case di moda, non ostenta, è attenta e oculata e veste Topshop. No, non è un errore di battitura. Le cose sono due: o doveva recarsi al Bat Mitzvah della cuginetta e all'ultimo momento ha cambiato idea, restando con lo stesso vestito, oppure Topshop ha sborsato bei soldini per farla vestire così. Giocare la carta del low cost su un red carpet è davvero una scelta infelice: premia solo se il red carpet in questione è proprio quello organizzato da un marchio low cost. E poi quelle balze sulla scollatura, quella fantasia oro su fondo rosso? Jaime, davvero, non c'è scusa che tenga.


Flower power
Kristen Wiig in Stella Mc Cartney VS Sarah Jessica Parker in Valentino
"Floreale? In primavera? Avanguardia pura..." Così Miranda gela i suoi redattori nel film Il diavolo veste Prada. Tuttavia il floreale riserva gradite sorprese: decisamente anni Cinquanta, con gonna a corolla l'abito firmato Stella Mc Cartney della comica e attrce Kristen Wiig. In tangerine, il colore must di quest'anno, braccia scolpite e mini clutch rigida color cipria, come non adorarla? Qualcuno spieghi invece a Sarah Jessica Parker che sono finiti i tempi de "La casa della prateria". Il look contadinesco-bucolico non ha mai donato nessuno, per quanto sia un dannatissimo Valentino e con tanto di scarpina in nuance. reggerlo poi con due mani...oddio, quanto mi ricorda quelle menate stile Elisa di Rivombrosa. No, no e ancora NO!


Goldfinger, e non solo
Carey Mullingan in Prada VS Bianca Brandolini d'Adda in Dolce&Gabbana

Effetto sirena d'oro per Carey Mulligan, una delle poche elette a poter vestire Prada (perchè secondo Miuccia, non tutte potevano aspirare ad avere un outfit Prada per l'evento). Il vestito è un prezioso tubino scampanato sul fondo, con piastrine metalliche color oro, a metà tra le squame di un pesce e le maglie di una corazza. Un pò Giovanna d'Arco, un pò sirenetta, decisamente splendida. Risponde Bianca Brandolini d'Adda in Dolce&Gabbana: cosa diamine le sia passato per la testa, nessuno lo sa. Menomale che le italiane sono note per la loro classe ed eleganza. Coperta di lustrini oro e con cappa e abito lungo, entrambi tempestati di pietre, Bianca sembra un bizzarro connubio tra Cleopatra e la regina di Saba. Forse la sobrietà non è riuscita a superare i controlli al check-in del volo Milano-New York. Le paillettes, invece, sembra che ce l'abbiano fatta.


Eccentricità cercasi
Florence Welch in Alexander Mc Queen VS Christina Ricci in Tankoon

Ma quale occasione migliore di una mostra che celebra la creatività di due grandi stiliste, per sfoggiare mise eccentriche ed altrettando creative? Questo devono aver pensato la cantante Florence Welch e l'attrice Christina Ricci: una avvolta in un turbinio di balze di Alexander Mc Queen, l'altra si lascia incantare da un tubino decorato di Tankoon con maxi fiocco sul retro. Effetto vincente per Christina: l'abito le dona, enfatizza il fisico sottile, e il color cipria esalta l'incarnato luminoso. Florence nn può nulla contro le balze e sembra somigliare inquietantemente ad una medusa.


Dettagli di stile
Marion Cotillard in Dior VS Alexa Chung in Marc Jacobs
Quando sono i dettagli a fare la differenza. Marion Cotillard sfoggia un abito Dior con trasparenze sul fondo effetto ombre: il nero del corpetto si sfuma in un lussuoso viola che svela discretamente le gambe. Divino. Originale la mise di Alexa Chung: il tubito in pelle nera e fantasia floreale viene sdrammatizzato da una camicia bianca effetto collegiale. Già presentato con questo abbinamento sulle passerelle di Marc Jacobs, con la camicia però della stessa fantasia floreale del tubino. L'effetto risulta molto più evidente e interessante nella versione di Alexa. Premiatissime tutte e due.

Gwyneth Paltrow in Prada
Giudizio incerto per il minidress Prada color argento di Gwyneth Paltrow: quando l'ho visto nella foto di schiena l'ho trovato strepitoso, all'americana, con leggera coda dietro. Poi visto davanti, non so, non mi convince tanto: il taglio dritto, l'eccessiva scollatura sui lati... insomma Gwyneth sei una madre di famiglia. Copri quelle due tettine, suvvia.


Oltre le gambe c'è di più

Chole Sevigny in Miu Miu, Kate Bosworth in Prada, Joan Smalls in Balmain
E qui è tutto un tripudio di gambe al vento, complice la bella stagione, o semplicemente la voglia di esibirle toniche e scattanti. A mio avviso scelta felicissima, per uscire fuori dalla spirale diabolica del lungo/opulento/strascico. Premio coraggio per Chole Sevigny, seminuda, coperta solo da una rete di specchietti firmata Miu Miu, che ricorda tanto i miniabiti futuristici di Pierre Cardin. Eccezionale l'abito, anche se tutta quella pelle esposta mi disturba un pò. Splendido anche l'abito della modella Joan Smalls, minidress con decori pasley in toni pastello/oro firmato Balmain. Appena ho visto la foto ho esclamato:"Wow!". Scorrendo fino in basso mi si è smorzato il sorriso: quanto possono rovinare un outfit delle scarpe male abbinate? Domandatelo a Joan. Avrà girato mezza New York senza trovare un paio di sandali gioiello della sua misura, oppure non avrà avuto tempo di farsi una pedicure. Non riesco a trovare altre motivazioni plausibili. Premio regina dello short dress a Kate Bosworth: l'attrice dimostra che le piume non sempre fanno il paio con il burlesque o gli anni Venti. Così opta per un abitino Prada effetto ombre dal prugna/borgogna fino al nero (segnatevelo: perchè è l'effetto ombre il vero must di stagione). Focus sulle labbra: solo a lei potrebbe donare quel borgogna sulle labbra, senza sembrare una settantacinquenne inpiumata.


AIUTATELI

Marc Jacobs in Comme des Garcons VS Anja Rubik in Anthony Vaccarello
Questa sezione merita invece un discorso a parte: fin quanto possa spingere il desiderio di far parlare di sè, anche se si cade con tutte le scarpe nel baratro profondo del ridicolo. Marc Jacobs fa deliziosamente sua una camicia/abito di Comme des Garcons (da uomo? Da donna? Chi lo sa...). Altro che vedo non vedo, qui si vede decisamente tutto, persino quello che si vorrebbe fare a meno di vedere, dal mutandone bianco candido, fino alla scarpa con fibbione luccicante stile Luigi XIV. Psicofarmaci a colazione, oppure voleva dimostrare che tra lui ed il compagno Lorenzo Martone, ex modello, la vera diva è lui.
Poi ci lamentiamo di Belen: la modella Anja Rubik fa sua la lezione della vallettina nostrana e sfoggia un abito (e ce ne vuole per definirlo tale) firmato Anthony Vaccarello. Spacco inguinale, in tutti i sensi, ma tagli sapienti anche sul busto e decolletè, più facile definirlo un mucchio di nastri cuciti alla meno peggio. Un mix tra la gambina da fuori di Angelina e l'inguine (non dotato di farfalla decorativa però) di Belen. Non credo possa esserci qualcosa di peggio. Ah, si, Belen che cerca di coprirsi mentre scende le scale di Sanremo.








giovedì 26 aprile 2012

Twitter ovvero i monologhi di Roberto Cavalli

Che ormai Twitter sia diventato il social più utilizzato è ormai assodato. Facebook è il passato, Google+ un possibile futuro, ma Twitter... Twitter è il presente. Se prima era possibile affermare con orgoglio:"No, non possiedo un profilo fb e non ho intenzione di attivermene uno",adesso risulta quasi un' onta socialmente condivisa ammettere la propria mancata adesione al popolo dei cinguettatori.
Tra politici, attori, prezzemolini vari, la mia attenzione è inevitabilmente caduta sugli stilisti, che ci hanno messo poco a scoprire che twittare è molto più facile e divertente che diffondere un comunicato stampa. Così, sempre più spesso, le news più fresche, gli snapshoot, le anteprime passano prima per Twitter: ma per quello serve un social-web-media-manager, ossia un 23enne fresco laureato che la casa di moda piazza davanti ad un pc a veicolare le notizie sui profili social aziendali attivati. Invece, le vere chicche le riservano i profili privati, quelli che vedono impegnati gli stilisti in prima persona nel mixare anteprime della nuova collezione, a foto di cuccioli tenerissimi, fino a tweet dell'ultima vacanza in un atollo dei Caraibi (ma solo per fini creativi, of course!).
Sul podio degli stilisti maniaci dei 140 caratteri spicca Stefano Gabbana, prolifico utente di quasi tutti i social, ma attivissimo principalmente su Twitter e Instagram con quasi 260.000 follower, e, una su tutti, Victoria Beckham, regina incontrastata dei cinguettii con oltre tre milioni di follower, in visibilio per ogni singola sillaba che edita. Ma c'è un altro stilista che twitta ossessivamente, a volte sparando a zero e diffondendo bufale grandi quanto le adorate bestiole che preparano la mia mozzarella preferita: stiamo parlando di Roberto Cavalli, oltre 2.500 tweet postati e poco più di 200.000 follower, potete seguirlo sull'account @roberto_cavalli per scoprire che:
  • possiede 2 cani, 1 gatto, 4 pappagalli, 1 merlo indiano, 1 macaco... da qui la sua passione per l'animalier, suppongo (tweet del 16 aprile)
  • chiama tutti i suoi contatti (celebri e meno celebri) AMORE (vedi Miley Cyrus e Cindy Crawford)
  • fa un utilizzo disinvolto della grammatica inglese (d'altronde quando si è creativi... )
una delle tante pic di Roberto Cavalli su Twitter (via Twitter.com)
Ma tra i tanti cinguettii dello stilista, uno in particolare ha colpito la mia attenzione...una sfilza direi. Per la precisione questi:


Fashion Mafia? Baciamo le mani.... (Via Twitter.com)

Etichettatto subito come "folle delirante" da parte della stampa glamour americana (guai se tocchi la loro Annina!), tuttavia lo stilista ha messo per iscritto una serie di realtà innegabili che caratterizza il fashion system degli ultimi tempi: la mancanza atavica di stilisti francesi, la moda come grande macchina per far soldi (epperò se puoi farti le vacanze creative nel villone in Sardegna lo devi pure a 'sta macchinetta, Robertino...) ma soprattutto l'evidente accusa che lancia alla Wintour, rea di aver snobbato le sue sfilate poichè lo stilista non fa inserzioni pubblicitarie su Vogue Usa.
Non è la prima volta che lo stilista dice la sua contro la direttora di Vogue (già in precedenza si era espresso contro la Wintour, rea di aver assogettato milioni di donne americane al suo stile personale) tuttavia in questo caso la faccenda è ben più grave. Al di là dei favori e gusti personali, è innegabile che determinati personaggi si muovano lì dove l'investimento tira: le riviste hanno bisogno di introiti pubblicitari e le case di moda hanno bisogno di pubblicità mirata. Un personaggio ritenuto autorevole dal sistema moda, difficilmente non porterà prestigio e introiti sicuri se presenzia in prima fila ad una sfilata. Da qui il dubbio di quanto siano realmente influenti redattori e supermegadirettori, se effettivamente siano loro a promuovere o bocciare determinate proposte, o quanto invece queste proposte vengano sospinte da un ingente investimento pubblicitario.
E se si guardano le cifre dell'ultima indagine Pambianco sugli investimenti pubblicitari nelle principali testate italiane, i dubbi aumentano: ad oggi gli investimenti pubblicitari rappresentano la spesa più ingente per la maggior parte delle aziende, da 5 fino al 10% del fatturato, un giro d'affari che vale, solo in Italia, oltre 702 milioni di euro.
Curiosa coincidenza: Prada è il marchio top spender in assoluto, con oltre 19 milioni di euro investiti in pubblicità nel 2011, con un aumento dell 84% rispetto al 2010. Ma Prada è anche il brand di cui riviste e magazine parlano di più: tra quotazioni salvifiche in Borsa, celebrazioni della stilista, sfilate rivoluzionarie su cui spesso sento di dover dissentire (la collezione s/s 2012 tutta fiamme, stampe e american way of life?no grazie).
Altro discorso per i redazionali: quegli splendidi servizi patinati, realizzati da talentuosi stylist, che si ritiene siano dettati da libere scelte redazionali, ma che in realtà sono comunque pilotati da forti investimenti aziendali, per quanto non quantificabili. Un esempio su tutti? Su un totale pari a 399 milioni di euro in redazionali, spicca nuovamente al primo posto il gruppo Prada, con oltre 7 milioni di euro, seguito a ruota da Gucci, Dolce&Gabbana, Chanel, Louis Vuitton... insomma tutti i brand che vi fanno sognare quando sfogliate la vostra rivista preferita. Tutti brand che spendono, e anche tanto, in pubblicità. Ma queste, dicevamo, sono solo coincidenze.

Dati alla mano, risulta quindi difficile contraddire Roberto Cavalli e bollare i suoi tweet come semplice sfogo: che il mondo della moda oggi sia  sempre meno collegato a concetti come creatività e arte, e debba tener conto sempre di più di introiti e fatturati, è ormai un dato di fatto. E se lo stilista fiorentino si ritiene danneggiato dai maneggi di questa "fashion mafia", si può tuttavia ritenere soddisfatto: a fronte degli investimenti fatti, il marchio Roberto Cavalli figura al quarto posto per tasso di resa, ossia il rapporto tra spese in pubblicità e ritorni in redazionali: per la serie, spendi poco ma piazzati bene. E in questa classifica, il gruppo Prada figura solo al 25esimo posto.

Stai a vedere che poi, tutta questa pubblicità, neanche serve?

TIP: per le curiosone incallite, come me, il resoconto completo dell'indagine è disponibile qui.

lunedì 23 aprile 2012

Scene da un matrimonio

L'unico business che non conosce crisi? Ma il settore dei matrimoni, naturalmente. Le più svariate commedie sentimentali, i più bei film d'amore e le favole più antiche di tutti i tempi ce lo insegnano: non c'è vero happy ending senza tripudio di confetti e fiori d'arancio. D'altronde Biancaneve mica è saltata in sella al cavallo assieme al suo cavaliere per andare a convivere in un monolocale in centro... tanto valeva rimanere con i suoi sette piccoli zii putativi, commercianti di diamanti e possessori di villettina in campagna!
Eppure, care le mie sognatrici in attesa del principe azzurro, sposarsi costa, e anche tanto: e se è vero che si possono operare tagli sostanziosi a cerimonia e invitati (per la serie "famose du' spaghi e la zia Concetta la lasciamo a casa, che tanto c'ha l'artrite") lo stesso non si può dire per l'abito, croce e delizia di ogni sposina degna di questo nome.

E proprio a sposine (giustamente) parsimoniose ha rivolto l'attenzione il team creativo di Topshop, mecca fashion in quel di Londra, oggi marchio internazionale e veicolo dei più recenti trend in tutto il mondo. La notizia è stata data via Twitter e ha scatenato l'attenzione e la curiosità di fashion addicted e future sposine : a giugno verrà lanciata la nuovissima  bridal capsule collection di Richard Nicoll, talentuoso diplomato della St Martin School (per intenderci, la scuola d'arte che ha visto emergere talenti del calibro di Alexander Mc Queen, Gareth Pugh e Stella Mc Cartney, mica i primi stracciaroli), un tempo collaboratore di Marc Jacobs per Louis Vuitton, oggi stilista di un marchio che porta il suo nome. Avete letto bene: bridal, per spose, si, per tutte quelle che hanno accalappiato il proprio mister Big e sono pronte a tutto pur di trascinarlo sull'altare.

La collezione ha suscitato commenti positivi e perplessità da parte degli addetti ai lavori: può funzionare una collezione low cost per spose? Dove va a finire il concetto di unicità dell'agognato e sognato abito da sposa? E la cura per i dettagli? La preziosità dei materiali? D'altro canto, va anche osservato come il settore dell'abbigliamento per cerimonia è forse l'unico che non ha beneficiato ancora del vantaggio competitivo dell'ingresso dei colossi del fast fashion nel mercato (tradotto: necessità di vendere un rene  al mercato nero pari a zero). Una bella scommessa per il marchio Topshop, che vede fattibile la possibilità di allargare la propria offerta commerciale, e per lo stilista, impegnato in un settore del fashion system non proprio facilissimo: diciamo che la minaccia dell'effetto nuvola è proprio dietro l'angolo.
Va anche detto che Nicoll non è nuovo a questo genere di abiti. Vogue UK ha infatti pubblicato un paio di foto di abiti da sposa disegnati dallo stilista per due sue amiche, una sorta di rassicurazione preventiva per tutte le interessate:

discutibile l'abito da sposa a destra, essenziale ed elegante quello a sinistra (via Vogue.co.uk)

A questo vanno aggiunte le indiscrezioni trapelate dal web che, pur non offrendo immagini rubate dal photoshoot, assicurano sulle intenzioni di offrire "un'alternativa moderna alla cultura della meringa",un principio comune all'azienda e allo stilista. Astenersi amanti dei vestiti caramellosi e principeschi.

Ma il vestito è solo il primo di una serie di dubbi amletici che affliggono i novelli sposi. E trovare futuri coniugi disposti a spendere per il giorno più bello della loro vita è sempre più raro.
Certo, perchè se è vero che, almeno in Italia, il numero dei matrimoni è in calo, soprattutto i riti religiosi, a favore invece di riti civili e seconde nozze, è anche vero che le cifre del settore sono nettamente in rialzo, dal 2 al 5% almeno stando ai dati Federconsumatori del 2011. Ad oggi un matrimonio in stile classico, con cerimonia, ricevimento e parenti in lacrime costa dai 33 ai 56.000 euro, per un giro d'affari in tutta Italia di oltre 10 miliardi. Un pò meno se si sceglie una formula low-cost, puntando sulla qualità ma effettuando drastici tagli sugli invitati. E se si ripiega sulla festa intima, nulla viene risparmiato per l'abito da sposa: le italiane non sembrano proprio rinunciarci, al punto da raggiungere cifre che vanno dai 3.500 ai 7.300 euro, tra abito e accessori. Questo e altro per essere bellissime nel grande giorno. Arrivando anche a chiedere prestiti, come circa il 2% delle coppie che, rivolgendosi ad istituti di credito, adducono come motivazioni le spese matrimoniali.

Due cuori e una capanna resta il miglior augurio che si possa fare a due novelli sposi: ma se la capanna è in un resort polinesiano a cinque stelle, dove la coppia felice è fuggita per il viaggio di nozze, forse è anche meglio.

mercoledì 18 aprile 2012

La rivincita delle bionde?

Reinventarsi. Riciclarsi in più ruoli. Questo sembra essere il diktat degli ultimi anni. Complice la crisi, la voglia di sperimentare o semplicemente l'apertura al nuovo. Nulla da eccepire, chiaro, eppure leggendo un editoriale di Franca Sozzani, non mi sento decisamente di concordare con lei. La mega direttora di Vogue parla infatti di bellezza, cervello e capello color grano: un mix formidabile che avrebbe portato alle vette più alte della meritocrazia italiana una top model di tutto rispetto, Eva Riccobono.
In sostanza, la bionda Sozzani esprime felicitazioni supreme per la bionda Riccobono e il suo esordio nei palinsesti nazionali con un nuovo programma di divulgazione scientifica e approfondimento intitolato, manco a farlo apposta, Eva, un format-pilota di sei puntate in onda in prima serata su Rai2. Nulla di strano, ma neanche nulla di talmente trascendentale da essere salutato dalla deus ex machina della moda italiana come un grande esempio di come la Riccobono abbia dimostrato la sua intelligenza  oltre che la sua innegabile bellezza. 

La modella Eva Riccobono all'esordio del nuovo programma di "sperimentazione" Eva (via blogosfere.it)

Non voglio certo insinuare che la modella sicula sia stupida, tutt'altro... ma da qui a pensare che presentando semplicemente un programma televisivo di stampo pseudo-scientifico, si possa dimostrare  qualcosa ce ne corre. Non è autrice di un programma, nè di un reportage all'interno di esso, nè chiamata a gestire un dibattito... semplicemente legge e lancia i servizi (discutibili) del programma in questione, niente che una Fiammetta Cicogna non avesse già fatto, o che un Roberto Giacobbo non sappia fare, per quanto non possegga lo stesso phisique du role della modella. Spiegatemi dove sta l'intelligenza, a meno che il saper leggere sia ritenuta una dote ad appannaggio di pochi, e in tal caso, ritengo anche l'intonazione meritevole di una certa attenzione. Il risultato è un programma banale e scialbo (ma di questo la Riccobono non ha colpe) in cui lei decisamente non c'entra niente. Ed è un peccato, visto che potrebbe essere impiegata in molti altri contesti, dove realmente farebbe la differenza, a fronte della sua esperienza sulle passerelle di tutto il mondo. Da quando in qua trovare il proprio posto al sole in uno dei tanti format di moda è qualcosa di esecrabile... di sicuro preferirei lei ad una Miss Italia scialba (vedi la Ferolla su Rai5). 

Però a quanto pare, Franca preferisce sguazzare nei luoghi comuni, dal binomio scienza-intelligenza a quello scontatissimo e francamente superato donna bionda-oca giuliva. Con l'aggiunta di un aggravante: portare ad esempio della sua tesi un'altra celebre bionda, da lei difesa a spada tratta, la onnipresente Beatrice Borromeo, l'unica in grado di saltare da una copertina patinata ad un articolo di denuncia sociale, e nel frattempo tessere stretti legami con un Santoro e un Travaglio di passaggio, e in tutto questo elevata a sacro esempio di intellighenzia italiana perchè "parente di nessuno". Spero di cuore che la Sozzani stesse facendo una velata satira. 

E in tutto questo mi sconforta constatare che la lettura di editoriali di persone che certamente dovrebbero avere una capacità di analisi del tessuto sociale maggiore della media, si rivelino essere un ripescare concetti triti e ritriti: la profondità di queste riflessioni è pari alle sfide bionde contro brune a Non è la Rai. Marylin Monroe ci aveva giocato fino alla nausea sullo stereotipo della bionda svampita, ma era quasi cinquant'anni fa; davvero nel 2012 ci si può ancora perdere dietro avvizzite questioni di carattere neuronico-tricologico?

Andiamo Franca: la rivincita delle bionde è già avvenuta da tempo.
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